mercoledì 27 maggio 2009

おくりびと (Departures)

Masterpiece e vincitore del Far East 2009 (sia con l'Audience Award che col Black Dragon Award), premio oscar 2009 nella categoria "miglior film straniero", dozzine di premi assegnati nei festival cinematografici di tutto il mondo, e soprattutto in Giappone, quasi sempre nelle categorie "miglior film"; un successo stratosferico al botteghino in madre patria, cosa incredibile per un film con una sceneggiatura originale (pur liberamente basata sul libro autobiografico di Shinmon Aoki, 納棺夫日記(Nōkanfu Nikki), titolo inglese "Coffinman: The Journal of a Buddhist Mortician") non tratta da serie televisive o manga, e con un soggetto non comune, quello della morte e della gestione di un corpo morto, fisiologicamente fuggito e temuto dai "vivi". Corollario non trascurabile di tutto ciò è l'estremo tabù Giapponese della riservatezza della cerimonia funebre, riservata esclusivamente ai familiari stretti e quindi difficilmente esprimibile cinematograficamente senza suscitare contrastanti sentimenti nel pubblico nipponico.

Departures, termine proveniente direttamente dalla traduzione in inglese di una scena divertente del film, non è l'esatta traduzione del titolo Giapponese che è おくりびと(Okuribito): questa parola deriva dal verbo 見送る(Miokuru), che esprime l'azione del salutare dalla terra un defunto che già sta in cielo mentre lo si contempla con gli occhi. Si prende solo la parte del "salutare", 送る(Okuru) e la si unisce all'ideogramma 人(Hito), che unito al verbo precedentemente citato si ingorizza diventando "bito": "Okuribito" è la persona che saluta un morto in cielo, un significato più metaforico che fisico.

Siamo nel rigido inverno di 酒田(Sakata), prefettura di Yamagata. Un giovane 納棺師(nokanshi) esegue il rituale della ricomposizione del cadavere di una giovane e bellissima donna prima della sua deposizione nella bara. Il suo anziano mentore lo segue compiaciuto mettere in pratica gli aggraziati movimenti di un'arte antica ed affascinante, fulgida di pietà, composta dignità, piena dell'amore che i vivi non possono più dare ai morti, delegandolo così a persone uniche e speciali.

Prima di svolgere questo lavoro, Daigo era un violoncellista in una grande orchestra di Tokyo, purtroppo dopo lo scioglimento della stessa, il giovane si trova senza lavoro e decide di trasferirsi nella sua città natale, Sakata. Qui, in un giornale di inserzioni legge un annuncio: "cercasi personale, anche senza esperienza, agenzia specializzata in partenze". Convinto si tratti di un'agenzia di viaggi, Daigo prende contatto con l'anziano proprietario, che lo assume senza neanche leggerne il curriculum. Presto il ragazzo capirà che si tratta di un'agenzia funebre, una 葬儀屋(Sōgiya): il suo iniziale nascondersi lo mette al riparo da odiosi pettegolezzi che però, vista la dimensione ridotta della città non tardano ad arrivare, minando addirittura la solidità del suo matrimonio. Qui comincia per Daigo un nuovo percorso, a volte doloroso, per ritrovare pace e serenità interiori, ed il rispetto degli altri.

Bello, sensibile, struggente ed apparentemente perfetto: un film al quale in termini festivalieri ho dato un bel 5/5 (il voto era 4/5 ma nel mio metro di giudizio al FEFF i film Giapponesi hanno sempre un punto in più). Effettivamente, un non appassionato di cinema asiatico può veramente apprezzare questa pellicola: la classica lentezza cinematografica Giapponese lamentata da chi vi ci si avvicina per la prima volta è meno pesante del solito, il tema trattato è estremamente interessante per la sua rarità e vale pure la visione di due ore e dieci minuti di film: c'è un ottimo bilanciamento totale dell'insieme. Un film esportabilissimo, una scommessa vinta ancora una volta dal lungimirante e temerario produttore esecutivo 間瀬泰宏(Mase Yasuhiro). E' importante notare che Departures ha avuto la sua vittoria più importante in madrepatria, in Giappone, dove un enorme successo di pubblico ha sancito la caduta di un grande tabù, sdoganando cinematograficamente la figura del 納棺師(Nokanshi) e la pratica funeraria, cose che in anni di cinema Giapponese personalmente non avevo mai visto. Nessuno infatti avrebbe scommesso su questa pellicola, e il film parla proprio di questo problema: l'emarginazione di Daigo a causa del suo lavoro viene da un sentimento comune a tante popolazioni del mondo. Tutti abbiamo paura dei becchini, chiunque almeno una volta nella vita ha provato ad immaginare come sarebbe lavorare da becchino, e magari toccare i morti: non è in questo caso la "paura del diverso" ad atterrire le persone, ma la più naturale paura della morte, il fuggire ciò che si teme di più anche solo come idea. Da qui invece si possono creare le basi per creare un film interessante, perchè oltre a mostrare cose che nessuno ha mai visto (la pratica della composizione del cadavere di fronte ai parenti, almeno in Europa non penso sia così diffusa...), permette di mostrare una rassicurante quotidianità anche in un lavoro talmente particolare, ed è allora possibile mettere a proprio agio lo spettatore anche con l'inserimento di situazioni macabramente divertenti: un espediente, quello di giocare con la morte senza mai cadere nel cattivo gusto, assolutamente geniale.

Un'ottima interpretazione di 本木雅弘(Masahiro Motoki) nel ruolo di Daigo, e una non meno valida prova da 広末涼子(Hirosue Ryōko) il visino indimenticabile della figlia di Jean Reno in Wasabi, che interpreta sua moglie; gradevole la presenza di 山崎努(Yamazaki Tsutomu) una grande carriera cinematografica alle spalle e tanti ruoli di spessore (io non dimentico quello del nonno di Sakutaro in Sekachu), che interpreta l'anziano proprietario dell'agenzia.

Insomma, sono contento per questo premio Oscar, assolutamente non immeritato e che dà lustro al cinema Giapponese, dopo quello vinto nel 2001 da Hayao Miyazaki con 千と千尋の神隠し(Sen To Chihiro No Kamikakushi - La Città Incantata). Ma chi conosce bene in cinema Giapponese e ha fatto il callo al genere drammatico Giapponese contemporaneo, non può far altro che notare che anche questo è un film costruito ad arte per strappare lacrime, con un supporto sonoro non brutto nè sgradevole ma ripetitivo che se vogliamo enfatizza ancora di più le scene commoventi e tristi. Forse scontato come struttura, utilizza la morte per i suoi fini di genere, come tutti gli esponenti del genere 純愛(Jun-ai – vero amore), ma senza utilizzare il topic dell'amore. Grazie a questo film le autorità di Sakata dovrebbero ergere un monumento in onore della produzione, visto che l'affluenza turistica nella cittadina è spaventosamente esplosa fino a mettere in ginocchio le sue capacità ricettive, un pò come accadde per Aji, nell'isola di Shikoku, location di Sekachu, che ancora oggi vive di turismo cinematografico (io ho contribuito ad esso nell'estate del 2008).

Unico nel suo genere e irripetibile, come ciò che mostra, assolutamente imperdibile anche pure dal punto di vista della conoscenza della cultura Giapponese, ben fatto e mai noioso, delicato ma ironico, un equilibrio perfetto creato e perfezionato dal bravo regista 滝田洋二郎(Takita Yōjirō), equilibrio senza il quale, parole di Mase, andrebbe davvero tutto a rotoli.

Una foto ricordo al FEFF11 con 間瀬泰宏(Mase Yasuhiro), produttore di questo film, come dei thriller ospedalieri di Nakamura.

おくりびと(Okuribito - Departures)

Giappone, 2008 - regia di 滝田洋二郎(Takita Yōjirō)

8 commenti:

Weltall ha detto...

Quel che mi fa rabbia in un film come Departures (per me un 3/5 volendo essere di manica larga) è che riesce ad essere semplicemente meraviglioso quando racconta per immagini il rituale di preparazione dei defunti all' ultimo "viaggio", estremamente intelligente nel trattare la morte con un umorismo spesso grottesco, ma anche terribilmente paraculo quando decidere di buttarsi sul drammatico in maniera furba e posticcia. E quando diventi paraculo ecco che fioccano i premi. Non mi riferisco certo al premio del FEFF, che in linea di massima ci può anche stare, ma a quell' Oscar a mio avviso immeritato soprattutto se si considera che tra i nominati c'era Valzer con Bashir decisamente più riuscito di Departures (teniamo anche presente che se c'era Gomorra gli altri potevano anche stare a casa ^__*)

nicolacassa ha detto...

>Cuggino> Ho visto Gomorra oggi all'aeroporto: sembra un documentario alla Ann Hui, solo leggermente più violento e marcio! hehe Forte la storia del paraculo!!

Debris ha detto...

Capisco cosa vuoi die nella recensione Nicola..In tutte queste opere,che affrontano temi sui quali vi sono veri e propri taboo sociali,mica solo nipponici, vi deve essere una parte di costruzione - di necessaria costruzione - Non è che questo sia un demerito è una necessità.

L'Oscar significa nulla.Si ottiene o si perde per ben altro che i meriti degli attori o della storia.

Personalmente non mi dispiace che lo abbia vinto questo film,che affronta alcune tematiche ben interessanti, come non mi sarebbe dispiaciuto se l'avesse vinto Bashir,che aveva un discorso molto forte alla base.

Forse si è voluto evitare di mandare l'ennesimo "messaggio" e magari si è fatto anche bene...

Weltall ha detto...

Nel caso specifico di Departures (non voglio certo generalizzare) la costruzione è, a mio modestissimo parere, tutt'altro che necessaria e perciò diventa un demerito.
La morte è un taboo in Giappone? Benissimo, il film affronta l'argomento con una serietà rigorosa nel mostrarci i rituali funebri e allo stesso tempo spezza la pesantezza che questo argomento porta inevitabilmente con se, con delle parentesi grottesche secondo me geniali, anche perchè sfociare nella commedia sarebbe stato totalmente deleterio.
E' una questione di equilibri alla fine, che Departures mantiene perfettamente almeno fino a quando non decide di pendere dalla parte delle lacrima facile, qualcosa in più che sembra essere messo li a posta per sdoganare il film a livello commerciale (operazione riuscita a quanto pare) e perciò posticcio come i sentimenti che vorrebbe trasmettere.

Per quel che riguarda gli Oscar siamo d'accordo. Si spera sempre che i film vengano premiati con una certa serietà ed invece finisce quasi sempre che i premi vanno a pellicole poco meritevoli. Poi quest'anno era l'edizione delle "paraculate" basta vedere quante statuette si è portato a casa quella simpatica furbata di Slumdog Millionaire ^__*

nicolacassa ha detto...

>Cuggino> "quella simpatica furbata di Slumdog Millionaire" agghià!! :)

Lou ha detto...

Complimenti per il blog! Una miniera di informazioni sul cinema giapponese. Sai per caso quando Departures uscirà nelle sale italiane? Avevo sentito parlare di gennaio, ma non mi pare che sia uscito. Grazie!

Anna lafatina ha detto...

Bellissimo film, davvero.
L'ho visto dietro tuo suggerimento e in effetti meritava davvero!!
Esce in Italia il 9 aprile e credo proprio che andrò a vederlo anche al cinema sperando che il doppiaggio sia meritevole.

nicolacassa ha detto...

>Lou> Grazie mille!

>Anna> Sono contento che ti sia piaciuto!! Andrò a vederlo anche io!! Anzi perchè non andiamo assieme??? :)