venerdì 4 dicembre 2009

Sweet Rain - 死神の精度 (Dolce Pioggia. L'accuratezza dello spirito della morte)

O "storia dello Shinigami tontazzo". Penso che siano pochi i nippofili che non hanno una minima idea di cosa sia la saga di デスノート(Desu Nōto - Death Note), ideata da 大場つぐみ(Ōba Tsugumi) come manga e tradotta in anime e live action movies di successo.

Comunque, per quelli come me che invece ne ignoravano l'esistenza (o se ne tenevano volutamente lontani), in Giappone si crede in tante entitá soprannaturali e semi-divine, e tra questi ci sono gli 死神(Shinigami), ovvero spiriti della morte, una figura semidivina importata in Giappone dall'Europa e definita nel periodo Meiji. Questo film ci dá un'ennesima visione alternativa dello Shinigami, ma andiamo con ordine...

Il Signor Chiba é uno Shinigami. Il Signor Chiba é per giunta uno Shinigami alquanto elegante e di bell'aspetto, con la sua bella chioma e i suoi abiti stile "le Iene". Il Signor Chiba non ha etá, viaggia in random nel tempo e nello spazio, camminando col suo spirito controllore (un cane nero) sopra i binari di una monorotaia (identica a quella di Naha, a Okinawa), che dovrebbero rappresentare per l'appunto la dimensione sovrannaturale dalla quale il bel Chiba proviene. Il belloccio Shinigami é pure annoiato dalla sua routine: non ha mai visto un cielo azzurro nei millenni della sua infinita esistenza perché quando lui lavora, chissá perchè, piove sempre... e poi quei dannati corvi neri, sono sempre lì attorno alla persona che deve morire L'unica pausa dalla pioggia il Signor Chiba la trova camminando sul cemento della monorotaia, che sta sopra le nuvole. Quando il mono-binario s'interrompe con una porta, significa che gli si prospetta un altro lavoro. Varcata la soglia, ecco il nostro mondo sotto uno scrosciante acquazzone, un sacco di corvi e un contatto da stabilire: quello con la vittima, cioé la persona che dovrebbe morire: il bel Chiba come i suoi colleghi (ce ne sono tantissimi sparsi per il mondo) deve decidere: procedere con la morte o sospendere la morte. É una specie di processo al quale le vittime vengono sottoposte. Prima tocca ad un'impiegata sfigata degli anni '80, poi ad un furfantello della yakuza dei giorni nostri, e poi ad una parrucchiera del futuro con tanto di aiutante robot (molto carina aggiungerei, e parlo del robot). Il signor Chiba prenderá (o meglio non prenderà) le sue decisioni mostrando un lato umano, etc etc.

Diciamolo subito, il film non mi é piaciuto. É una vetrina per un Takeshi Kaneshiro tirato a lucido e pompato di cazzate, e le spalle dell'attore cinese sono poco forti per reggere una sceneggiatura ridicola. Lo Shinigami da lui interpretato é si immortale, ma il suo peregrinare per lo spazio ed il tempo lo rendono irrimediabilmente impacciato di fronte agli esseri umani e a concetti importantissimi dei quali dei giudici di vita come gli Shinigami di cui si parla dovrebbero perlomeno essere informati, se non estremamente disinvolti: divertente come spunto per la sdrammatizzazione ed umanizzazione della morte, ma poco credibile se lo si vuole applicare ad un personaggio che dovrebbe essere un semidio il cui lavoro dovrebbe essere quello di giudicare gli uomini per la loro vita e per l'effettivo compimento dei loro propositi. Il signor Chiba passa le missioni a pronunciare frasi profonde, profonde al massimo come la vasca da bagno di casa di mia madre, a rispondere vagamente al suo cane che gli chiede continuamente conto del suo lavoro, fino a farsi completamente annullare dalla saggezza della protagonista femminile in finale di pellicola. Il Signor Chiba reagisce agli stimoli positivi datigli dai personaggi in forma di lezioni di vita con penose scene mute degne di un gorilla in giacca e cravatta che ascolta una lezione di filosofia...

Questo film é una versione quasi comica se paragonata ad un tentativo del cinema occidentale degli anni novanta di umanizzare la morte, sempre con un belloccio, ma biondissimo di nome Brad Pitt. Il film di cui parliamo é "Vi Presento Joe Black", del 1998, diretto da Martin Brest. Nonostante anche quello fosse un'emerita schifezza atta solo a pompare il bel Brad e a far innamorare milioni di ragazze, lì si percepiva un diverso modo di trattare dei temi profondi come la morte, e poi il personaggio interpretato dal bel Brad si dimostrava estremamente colto, serio e preparato in un sacco di concetti, proprio come dovrebbe essere un semidio (che io sia dannato, sto davvero parlando di come dovrebbe essere un semidio...), e poi didiamocelo, si scopa pure la figlia della sua vittima, è un grande, anni luce dal gorilla Kaneshiro.

Interessante per notare con quale leggerezza (o accuratezza?) i Giapponesi trattino degli argomenti assai profondi e importanti da un punto di vista spirituale. Ancora una volta domistrazione del fatto che la spiritualitá Giapponese sia completamente diversa dalla nostra, soprattutto nella commistione di simbolismi provenienti da diverse religioni: nella scena iniziale, per esempio, uno Shinigami, concetto di base importato ma in qualche modo derivato da rare divinità sia Shintoiste che Buddhiste che assiste alla cerimoina funebre Cristiana di una bambina che ha appena spedito all'altro mondo. Si può tentare una visione più profonda del film analizzando proprio l'imperfezione dello stesso Shinigami, in pratica destinato solo a prendere due decisioni: dopo un'indagine, quelle di "sospendere" o a "procedere" con la morte della vittima designata, avvenimento apparentemente deciso da un inevitabile destino che lo spirito della morte può solo ritardare, ma non evitare. Che la morte non sia frutto d'intervento divino ma semplice avvenimento necessario in una vita? Che tutto si basi sulla cieca legge della vita? E poi il cane nero, lo spirito controllore del Signor Chiba: nella mitologia inglese il cane nero è associato al diavolo o agli spiriti della morte sin dalla demonologia medioevale (chi poi ha letto "Il Mastino Dei Baskerville" di Arthur Conan Doyle sa di cosa parlo)... ma il cane del film è alquanto sfigato e il montaggio lo rende a tratti pure comico per la sua condizione, anche per lo spirito che rappresenta di estrema inpotenza sia nel gestire gli eventi, che nel gestire lo Shinigami che gli è stato assegnato. Penso con convinzione che l'autore, 伊坂幸太郎(Isaka Kōtarō), a parte la scena in cui Chiba si chiede perchè la morte sia rappresentata da uno spirito nero con una falce, forse non abbia utilizzato questa simbologia consapevolmente o se l'ha fatto ha cercato di sdrammattizzare il tutto in chiave comica, anche perchè i Giapponesi non capirebbero alcune sfumature che l'educazione di noi timorati cattolici ci ha insegnato a notare. Penso che si possa tranquillamente relelgare questo plot a quell'accozzaglia di simbolismi religiosi e per la nostra sopracitata inconsapevole ed ottusa sensibilità cattolica anche veniali blasfemie di una società, quella Giapponese, che non ha mai avuto una sua vera identità religiosa (e questo è uno dei suoi grandi pregi)

Vogliamo anche dire che i corvi sono tutti fatti in computer grafica e fanno pena? A parte il protagonista, sono i comprimari a fare il film: le cosiddette vittime tengono la scena, sono tutte dei personaggi splendidamente riusciti, e il finale é pure carino. Ma vi libero dai miei infiniti discorsi e vi lascio alla faccia da ebete di Kaneshiro in questa locandina...

Sweet Rain - 死神の精度 (Sweet Rain. Shinigami No Seido - Dolce Pioggia. L'accuratezza dello spirito della morte)

Giappone, 2008 - regia di 筧昌也(Kakehi Masaya)

sabato 28 novembre 2009

天然コケッコー (Un "Coccodè" naturale)

Dal regista di リンダ リンダ リンダ(Lina Linda Linda), Nobuhiro Yamashita, ecco arrivare in punta di piedi un altro piccolo miracolo della cinematografia contemporanea Giapponese
Avete mai sognato di abbandonare tutto, la vostra frenetica vita cittadina, lo smog, il rumore, il luogo di lavoro affollato, il tempo che non basta mai? Avete mai sognato di andare in un posto tranquillo dove ascoltare in silenzio il tempo che passa, vedere l’erba che cresce, non sentire l’ansia per qualcosa dietro che ti rincorre?

Giappone, isola di Honshu, prefettura di Shimane. In un piccolo villaggio in mezzo alla campagna fatta di piccoli campi di riso e scoscese collinette piene d’alberi c’è una piccola scuola. Il numero degli abitanti di questo villaggio è talmente esiguo che la scuola elementare e la scuola media sono fuse nello stesso stabile, e in tutto tra l’una e l’altra ci sono solo sei studenti: la più piccola è così piccola che si fa ancora la pipì addosso, e la più grande è al penultimo anno delle medie. La scuola è in fermento perché sta per arrivare un nuovo studente, lui viene da Tokyo e si è trasferito nel villaggio del nonno paterno con la madre. Soyo (interpretata dalla giovanissima 印東夏帆(Indō Kaho), nome d'arte "Kaho") in particolare, la più grande della scuola, non vede l’ora che il ragazzo arrivi: Hiromi Osawa è infatti un suo coetaneo. Il primo incontro tra Hiromi, il villaggio e Soyo non è dei più felici: il ragazzo, abituato alla frenesia della metropoli nipponica fatica ad adattarsi alla nuova realtà nella quale è stato catapultato. I suoi sei compagni di scuola fanno di tutto per farlo ambientare, la loro allegria e spensieratezza sono talmente disarmanti da mettere in difficoltà anche un ragazzo metropolitano come lui. Col passare del tempo, Hiromi imparerà ad apprezzare la sua nuova vita nel villaggio.

Un film che mi ha suscitato grandi emozioni, devo ammetterlo. Forse era dai tempi di 茶の味(Cha No Aji - The Taste Of Tea), 2004, di Katsuhito Ishii. che non provavo un desiderio così intenso di fare downshifting. Penso che questo film sia l’inno al downshifting per eccellenza.

Che paesaggi, quelli della prefettura di Shimane, una delle meno popolose del Giappone: impossibili da descrivere per la loro bellezza tutta particolare: le scogliere di granito giallo come quelle che avevo visto a Shikoku nella costa del mare interno, il mare cristallino, il verde intenso e brillante della campagna e quelle piccole linee ferroviarie coi treni a gasolio che puntualmente si arrampicano in scogliere a picco e s’infilano in strette gallerie tra una valle e l’altra. Sembra il paradiso: case grandi, verande di lucido legno scuro aperte d’estate e la voglia di addormentarsi nei tatami circondati dal canto delle cicale. Le persone del villaggio, non sanno cosa sia la quella brutta sofisticatezza squisitamente cittadina fatta principalmente di espedienti comportamentali di autodifesa: sono onestamente oneste e tranquille. Mai un problema, mai un avvenimento violento e triste a parte il suicidio di quella donna, lì sul ponte nella strada per la spiaggia: basta prendere la strada più lunga per andare al mare, che oltretutto è anche più panoramica, per dimenticare anche questo. Vi aspettate sorprese? Efferati omicidi? Fantasmi? Nulla di tutto questo, Tennen Kokekko non riserva cattive sorprese, è una medicina per l’anima dei sognatori come me, che hanno bisogno, ogni tanto, di immedesimarsi in un paradiso terrestre come questo e perdersi nel benefico oblio del silenzio e della tranquillità di un luogo lontano da tutto e da tutti. Qualsiasi cosa sia necessaria, per mangiare, la si può prendere al campo, o al massimo si possono fare due passi al negozio della mamma di Ibuki, la ragazza della prima media. Il dottore? Bisogna andare in città! Il forestiero Osawa non si capacita di tutto ciò, e il suo stupore misto a schifato sconcerto sono l’espediente cinemantografico che fa da stampelle a noi spettatori sognatori ancora zoppi in questo nuovo mondo fantastico.

Nessuna sorpresa, davvero, nessuna.

Potrebbe sorgere un dubbio: è questo un film schifosamente bugiardo? Se Sono Shion con 紀子の食卓(Noriko No Shokutaku - Noriko's Dinner Table) ci insegna che trasferirsi in un luogo paradisiaco non è utile per fuggire dai propri fantasmi, e che essi sono nascosti dentro di noi, Nobuhiro Yamashita (già regista di Lina Linda Linda) dà la sua personale o più ottimistica visione: i problemi sono ovunque, anche in un luogo paradisiaco, e ce lo ricorda con quei fiori posati nella balaustra di quel ponte arrugginito sulla strada per la spiaggia, o l’attacco d’asma della mamma di Osawa, forse il momento più drammatico del film, ma se si ha la forza di lasciare le proprie pene alle spalle, se si riesce a purificare il cuore e a vivere con un forte atteggiamento ottimistico, è possibile trovare il proprio paradiso personale.

Spesso e volentieri la cinematografia contemporanea Giapponese costruisce paradisiache realtà parallele dove lo spettatore possa rifugiarsi e sognare: queste realtà possono essere identificate in amori da favola, viaggi che sembrano epiche avventure anche se vissute nel giardino dietro casa, grandi vittorie e successi. Spesso e volentieri tutte queste belle opere sono impalcature di bugia che coprono realtà ben diverse: la scuola in realtà fa schifo, il lavoro in realtà fa schifo, difficilmente si ha successo nello sport, come nello spettacolo o nella musica, ancor meno in amore, figuriamoci poi conquistare ragazze da favola, belle, gentili e premurose come fatine incantate: nella realtà le belle ragazze spesso sono furbe e spregiudicate, forti della loro bellezza e popolarità. Ma l’impalcatura di Yamashita si dimostra solida: è proprio l’isolamento del villaggio a proteggerlo dalla bruttezza e dalla cattiveria del mondo, Soyo e i suoi compagni sono sinceramente buoni e onesti, e soprattutto semplici. Il viaggio scolastico dei ragazzi a Tokyo non fa altro che rafforzare questo generale sentimento di purezza e quest’atmosfera speciale: A Shinjuku, impaurita davanti allo stagliarsi delle torri del palazzo governativo comunale di Kenzo Tange, Soyo si tappa le orecchie, trattiene il respiro e dice ai grattacieli, alla frenesia, al rumore, che quando crescerà imparerà a trattare anche con loro, ma che ora tutto il suo amore è per il villaggio, la sua gente e la sua piccola scuola. Un ambiente talmente bello che gli stessi personaggi provano già nostalgia per esso, pur vivendoci.

“Non c’è nulla di meglio di casa nostra”, dice il professore a una Soyo impaurita a Tokyo.

Tennen Kokekko è un film d’amore, amore per la bellezza in sé, per la bellezza della semplicità, per la bellezza della natura, per la bellezza dei rapporti interpersonali,per la bellezza dell’amore. Tennen Kokekko è un film d’amore per l’Amore. Un film per sognare, un film in cui trovare anche riparo dallo stress della vita quotidiana e dalla bruttezza diffusa dei nostri tempi.

Tennen Kokekko è anche una pugnalata al cuore, perché dopo aver vissuto il suo mondo, qualsiasi altro mondo può sembrare meno bello.

天然コケッコー (Tennen Kokekkō - A Gentle Breeze In The Village)

Giappone, 2007 - regia di Yamashita Nobuhiro

lunedì 23 novembre 2009

紀子の食卓 (Noriko's Dinner Table)


(In questo testo ci potrebbe essere qualche spoiler) Noriko, una ragazza di 17 anni, si sente un'aliena nella sua famiglia e nella sua cittadina di campagnia. Decide di scappare di casa e di unirsi alle amiche conosciute in un forum, e durante un black-out prende una valigia, getta tutto dentro di essa alla rinfusa e scappa per prendere il primo treno per Tokyo. Dopo un certo tempo anche sua sorella minore, Yuka, sparisce e scappa via. Il padre, disperato, lascia il lavoro e comincia una isterica ricerca delle figlie che lo porterá sulle tracce di quella che lui pensa che sia la famigerata organizzazione teatralmente chiamata dai media "Suicide Club".
Dopo aver visto il bellissimo 愛のむきだし(Ai no mukidashi - Love Exposure) in anteprima al Far East 11, vedere un film di 園子温(Sono Shion) può trasformare una normale serata in un'imperdibile serata. Noriko's dinner table dovrebbe essere il seguito del suo 自殺サークル(Jisatsu saakuru - Suicide Club) del 2002, ma se ne discosta con una sceneggiatura che narra di avvenimenti temporalmente quasi paralleli a quelli del primo episodio, ma vissuti in luoghi e da persone diversi, che in alcuni momenti vengono a contatto con avvenimenti e personaggi del film sopracitato.
Non ricordo molto di Suicide Club, l'ho visto tanti anni fa e dovrei rivederlo per poterci scrivere qualcosa, ma penso che come me chiunque lo abbia visto non possa non ricordare la sua scena madre, cioé il suicidio collettivo delle cinquanta e più studentesse di scuola superiore sotto un treno della Chūō line nella stazione di Shinjuku, a Tokyo: scena più volte ricorrente anche in questo film.
Una sceneggiatura se pur parallela a quella del "primo episodio", indipendente ed autoconclusiva, sembra quasi che il regista abbia voluto sfruttare il successo di Suicide Club e sfruttarne la preesistente "piattaforma" per parlare di argomenti nuovi. Si può tranquillamente guardare questo film anche senza aver visto il precedente, addirittura lo si potrebbe utilizzare come prequel...
Il tema del suicidio è sempre comunque presente anche in questo film. La visione di Sono Sion sull'argomento é abbastanza critica pur nella sua tragica satiricitá: Noriko pur non avendo alcuna intenzione di suicidarsi finisce col prendere contatti con alcune delle ragazze membri di un misterioso forum, considerato da alcuni una copertura del cosiddetto "suicide club" e socializza con una di loro in particolare, nickname Ueno Station 54, vero nome Kumiko, a sua volta fondatrice e capo di una strana organizzazione che fornisce ai propri clienti "esseri umani in affitto" per qualsiasi utilizzo. Non si arriva mai a capire se in realtá questa organizzazione sia il Suicide Club, oppure una sua copertura, o se addirittura la sceneggiatura voglia forzare l'opinione dello spettatore sul fatto che tutto ciò che succede nel film non abbia alcuna connessione col Suicide Club mettendone in discussione la sua stessa esistenza e degradandolo a semplice ossessione di un padre disperato che assieme alle sue figlie ha perso tutto.
Però comunque i ragazzini si continuano ad ammazzare in gruppi organizzati e sembra che dietro le quinte ci sia un'accurata regia a muovere i fili di una macabra successione di eventi. Apparentemente per molti dei personaggi di questo film il suicidio é una bellissima liberazione dalla sofferenza, ma alcuni di essi si sottopongono ad una morte diversa, anche se comunque volontaria, ed é questa una delle cose che più mi hanno lasciato di sasso: farsi ammazzare volontariamente da qualcuno che vuole uccidere per sfogare la rabbia ad esempio su una moglie adultera, facendo da figurante ed interpretando una persona il cui destino é quello di morire, offrire un servizio e rendere la propria morte utile per qualche altro. Un'idiozia, una grande idiozia frutto della mente di delle poverette senza alcuna speranza.
A mio parere il genio di Sono Sion sta proprio nel rendere questa follia una metafora dell'isteria collettiva della quale il Giappone é realmente malato, e nello smontare accuratamente pezzo per pezzo questa stessa follia con un'intelligente critica costruttiva in chiave metaforica: dopo aver costruito un quadro scenico ben definito che mostra una realtá, quella dell'organizzazione che noleggia esseri umani per qualsiasi scopo, quella dell'ipotetico Suicide Club, rompe tutto utilizzando una delle sue carte apparentemente meno influenti: il personaggio di Yuka, la sorella di Noriko, che con grande astuzia s'infiltra nella trama di mistero generata dalla scomparsa della sorella maggiore e al contrario del padre rimanendo "sana di mente" diventa il Deus Ex Machina dell'apparato distruttivo dell'autore, ridicolizzando quell'organizzazione ora babele sanguinaria di odio per sé stessi e per la vita, gomorra di perversioni ancestrali vilmente cammuffate da servizio di pubblica utilitá, specchio di una societá, quella Giapponese, che l'autore vuol denunciare mai come ora vuota di contenuti e soprattutto di quell'autocontrollo che si é sempre imposta, autocontrollo ora diventato la silenziosa autoviolenza privata di tanti individui e di tante famiglie.
L'organizzazione di Kumiko diventa allora la parodia di quelle migliaia di persone che in Giappone aiutano gli aspiranti suicidi a raggiungere con successo il loro scopo: i forum monotematici, un'accurata metodologia della morte volontaria studiata da menti perverse per poveretti con la sola colpa di essere nati nel posto sbagliato, o di non avere abbastanza forza per sopportare l'infinita pena del vivere. Yuka é viva e vigile nella sua apparente idiozia di ragazzina quindicenne, sembra stralunata ma é giá una spanna più avanti rispetto alla sorella che non fa altro che autocommiserarsi e nascondersi dietro quegli spessi occhiali fuori moda, dietro la scusa che il male del mondo sia tutta colpa di suo padre.
Tetsuzo, lui, il grande uomo convinto che basti rifugiarsi con la sua bella famiglia in quella cittadina costiera apparentemente perfetta che si chiama Toyokawa (che tra l'altro è la cittadina natale del regista) per sfuggire al male e alla violenza del mondo esterno, ma che si accorge ben presto del fatto che il male e i problemi si generano principalmente da noi stessi che il più delle volte creiamo con maestria il nostro piccolo inferno personale.
In una grande metafora cinematografica allora Tetsuzo conosce l'inferno e rimane solo, scende negli inferi e affronta il diavolo, uccide i suoi scudieri con inaudita ferocia, e spera che si possa ricominciare tutto daccapo. Ma affonda le di nuovo le sue radici in quell'inferno dal quale non può più risorgere, e la rassegnazione copre come un sudario pure tutti gli altri, tranne Yuka, che dopo aver fatto la sua discesa negli inferi ha messo al sicuro sia sua sorella che suo padre nell'inferno meno doloroso per loro, si é strappata le radici dai piedi ed é volata via come un angelo della vita, e la sua libertá non la lascia sola, nuda ed impaurita come era stato per Noriko, ma la rende abbastanza leggera per spiccare finalmente il suo primo volo.
Sono Sion ha uno stile di ripresa unico: il film è diviso in capitoli, ognuno monografia di un personaggio, ma tutti fusi in una fluida coralità. La genialitá di questa sceneggiatura però raggiungerebbe la perfezione se limata di inutili lungaggini, e con qualche modifica in un finale troppo lento: difetti dei quali ad esempio il suo più recente lavoro "Love Exposure" é esente, pur con la sua folle durata di quattro ore.

紀子の食卓 (Noriko No Shokutaku - Noriko's Dinner Table)

Giappone, 2005 - regia di 園子温(Sono Shion)

giovedì 29 ottobre 2009

青の炎(La Luce Blu): Kamakura e il "Super Teenager"

Volevo ritornare su questo film, già recensito ed incontrato di nuovo, e devo dire volutamente, in una produttivissima ed interessantissima seconda visione.

Reduce da una bellissima gita a 鎌倉(Kamakura) con annessa cavalcata sull'Enoden fino a 江の島(Enoshima) in un tramonto davvero fuori dal comune, ho voluto fortemente rivedere questi posti a me tanto cari ed allo stesso tempo riprendere da capo una storia che avevo giá a suo tempo trovato estremamente interessante, stimolante, struggente, ma mal recitata.
Ho innanzitutto avuto la conferma del fatto che la location è effettivamente 鎌倉(Kamakura). La seconda scoperta è che la scuola in cui sono girate acune scene del film è la 鎌倉学園(Kamakura gakuen), cioè l'istituto comprendente sia una 高等学校(Kōtō-gakkō - scuola superiore) che una 中学校(Chū-gakkō - scuola media) che si trova affianco al famosissimo complesso di templi Zen chiamato 建長(Kenchō-ji). Per esigenze sceniche, gli studenti passano da una grotta per accedere alla scuola: in realtà la grotta in questione è lo 釈迦堂切通(Shakadō kiridoshi), un passo interno delle "alpi di Kamakura" e dista qualche chilometro dalla scuola, pur trovandosi effettivamente anch'esso a 鎌倉(Kamakura).
Non voglio mettere in evidenza le mancanze di questo film, giá citate nel post di qualche tempo fa, ma voglio forzarmi a far emergere dalla mia testa e bloccare su carta un concetto preziosissimo e assai volatile che la seconda visione del film ha impresso nella mia mente.

Nel cinema Giapponese si continua ad esaltare il feticcio della giovinezza, puro fattore estetico e fisiologico di uno stato temporaneo e fugace nel quale ogni individuo si sente intrappolato quando ci si trova dentro, ma che poi idealizza e rimpiange quando scopre che per alcuni versi la vita non é altro che un decadere. Questi sono concetti comunque comuni anche alla nostra cultura, anche se espressi in maniera meno isterica e maniacalmente ossessiva: la produzione culturale Giapponese però inserisce un aspetto a mio parere inedito: solo in giovinezza é possibile plasmare la propria vita, solo in giovinezza eroismi, ribellioni e coraggio sono atti e qualitá che possano eccezionalmente non determinare l'ostracismo da parte di una societá che ammazza creativitá e diversitá per proteggere quell'ormai spastico e dannosissimo senso di comune pensare e di comune agire.

Il chiodo che sporge da un'asse di legno dev'essere preso a martellate perché sia riportato in una posizione dove non possa nuocere proprio a causa della sua sporgenza, così dice un famoso proverbio Giapponese. Ma il cinema, la televisione e la letteratura giapponesi continuano a creare soggetti in cui il rompere gli schemi, l'infrangere le regole, l'essere diversi, che si sia peggiori o migliori poi non fa differenza, é un punto di forza. La giovinezza ti dá la possibilitá di capovolgere il mondo, ammazzare pure, mettere sotto le suole la gerarchia sociale, educazione e cosí via. Oltre, dopo il casino c'é sempre quel limite, oltrepassato il quale volenti o nolenti é necessario ritornare nelle righe, indossare la divisa da soldatino e mettersi a fare l'automa, l'unica opzione possibile.

Penso che il sognare di poter uscire dagli schemi, riflettendo sé stessi in un teen-ager onnipotente che possa permettersi di spaccare tutto, ciò che il lettore o lo spettatore non ha mai avuto la possibilitá di fare nella vita reale, sia quella caratteristica che per lo più genera il successo di tutte le teen comedy, di tutti i drama scolastici e di tutte quelle tragedie di amore e morte tanto care al pubblico Giapponese.

(SPOILER) Ma questo film va un pò oltre: un commissario di polizia concede il lusso ad un pluriomicida diciassettenne di potersi ammazzare, sfuggendo alla legge terrena (eppure la legge ed il senso comune in Giappone, al contraro di quelli nostrani non sono di certo clementi coi galeotti, i pregiudicati e i criminali in genere) e diventando un eroe unto di quell'indelebile impunitá morale post- mortem. Salva da famiglia dall'onta e s'immola. Una lacrima e via per riconoscerlo in un rapace in volo nell'infinito blu del cielo d'autunno di 鎌倉(Kamakura). (FINE SPOILER)
Non pensate che il Giappone sia come ve lo raccontano nei film, almeno non nelle commedie o tragedie adolescenziali.

domenica 23 agosto 2009

東京タワー 〜オカンとボクと、時々、オトン〜 (La Torre Di Tokyo: Io, La Mamma E Qualche Volta, Il Babbo)

Masaya é una specie di artista/creativo/tante altre cose e vive a Tokyo. Seduto su una sedia, in un ospedale, Masaya aspetta la morte della mamma, malata terminale di cancro

Il tema del racconto è non tanto il normalissimo presente di Masaya quanto il suo normalissimo passato: un'infanzia come tante le altre, un padre disattento e ubriacone, una madre fantastica e una vita fatta come di consueto più di delusioni che di successi, perchè fondamentalmente non tutti si nasce belli, fighi, intelligenti da premio nobel o eroi: quasi tutti si vive di merda, anche in Giappone, ma c'è comunque una benedizione che si chiama "mamma".

Finestra su sentimenti tanto veri da far riflettere pur nella loro scontatezza, il film è fatto di personaggi proprio ben riusciti: Masaya, interpretato dal solito ottimo オダギリ ジョー(Odagiri Joe) é una persona squisita dall'indole calma e dai buoni propositi, nonostante il suo percorso di crescita sia stato praticamente inconcludente dal punto di vista professionale (disegna vignette per bambini e parla di cose "sconcie" ai microfoni una radio erotica). Persino il padre lo surclassa su tutti i fronti sotto questo punto di vista, pur essendo tragicomico nelle sue sbronze memorabili e in quei dannati filmini in otto millimetri che si diletta a girare riprendendo un succube Masaya-bambino impotente di fronte ad una furia di annebbiata innoqua follia, follia che solo la donna di casa riesce a domare a colpi di placcaggio in stile rugbistico: Eiko, una donna di poche parole e forte come la sua 九州(Kyūshū) che doma il Godzilla della quotidianità familiare e che con coraggio ha cresciuto Masaya forgiando il carattere di una persona fantastica nella sua dannata normalità.

Non é un mistero che si aspetti la morte della signora Eiko, scontata come quell'evento naturale col quale tutti noi prima o poi nella nostra vita avremo a che fare, e comunque sempre scontatamente dolorosa.
Questo é un film di dolore e di morte, come tanti, ce ne sono in Giappone: per i più sarà facile farsi beccare dal vicino di poltrona ad asciugare le lacrime, ma "a freddo" dà l'impressione di essere anche questa volta una pellicola che delicatamente e con gran mestiere fa leva su quei sentimenti troppo spesso usati ed abusati dalla moderna cinematografia Giapponese per far presa sul grande pubblico. Un grande pregio è la mancanza di deificazione del personaggi, che non recitano battute ad effetto, non concedono scenografici perdoni anche pre-mortem e sono anche tutti abbastanza bruttini. Lungo e lacrimevole, a tratti scontato come il sopraggiungere della morte di un malato terminale eppure si lascia lo stesso guardare, come tutti i film del suo genere (uno dei quali recentemente vincitore di un premio oscar), e lancia un messaggio molto importante: non dimentichiamoci mai della fortuna che abbiamo, diamo importanza e amore alla persona più importante della nostra vita, colei che ha dato tutto per amarci e farci vivere nella migliore maniera possibile.
東京タワー 〜オカンとボクと、時々、オトン〜(Tōkyō Tawaa: Okan To Boku To, Tokidoki, Oton - La Torre Di Tokyo: Io, la Mamma e qualche volta, Il Babbo)
Giappone, 2007 - Regia di 松岡錠司(Matsuoka Jōji)

sabato 25 luglio 2009

大停電の夜に (Il blackout notturno)

Tokyo é uno degli agglomerati urbani piú grandi al mondo, e con i suoi sobborghi, a loro volta grandi come immense metropoli, non fatica a superare i trenta milioni di abitanti. La capitale della tecnologia, la capitale delle stranezze, la capitale di quei "contrasti" così affascinanti per un turismo "di nicchia", quello dei bellimbusti che "andare a mangiare il sushi fa figo" e quindi vanno in Giappone per fare ancora più figo (e si riscoprono, ad insaputa della vasta audience post-vacanza amanti del Mc.Donalds che forse è linguisticamente meno ostico), oppure quello dei fissati dei fumetti o degli anime Giapponesi, che ne fanno meta di pellegrinaggio. Tokyo (cosiccome d'altronde accade per tutto il Giappone in generale) vista dagli occhi del gaijin superficiale, del giornalista di viaggi o del promotore di viaggi organizzati é la "metropoli dei contrasti", un luogo dove la tecnologia piú avanzata convive con la piú severa tradizione, un luogo dove quartieri di grattacieli di mirabile altezza sono affiancati da complessi sacri dove regnano il silenzio e il religioso raccoglimento, e da quartieri a luci rosse dove ci si può anche solo idealmente affacciare alle piú depravate pratiche sessuali...

Ma quei "contrasti" tanto chic e di tendenza, sono tali solo per quelle tante persone che non conoscono abbastanza la societá Giapponese nella sua interezza e nella sua complessitá: quelle tante persone cresciute ad esempio in quel mondo cattolicizzato che porta a considerare "la diversitá" o "l'alternativa" come la solita babele di poveracci da compatire e salvare con eserciti di evangelizzazione; o i soliti furbetti tanto endemici nel nostro paese che passano sempre il post-vacanza nipponico a deridere coloro che danno la vita per il lavoro o che sono ligi al rispetto delle regole anche se si tratta di rispettare una dannata fila davanti alla porta della metro; gli acculturati da rotocalco settimanale pietosi nel compatire una società ormai famosa in particolare per i suicidi, o per una classe adolescenziale afflitta da immani problemi esistenziali (come se i nostri adolescenti fossero sani di mente...), o per una classe lavorativa considerata dai piú come ridotta in schiavitú da un sistema moralmente totalitario; o al massimo da visitare in un bel tour che non manchi di includere Tokyo, Kyoto, geishe, sushi e stronzate a non finire.

Ma perché tale polemico preambolo alla recensione di questo film?
Perché la visione di questo film é altamente consigliata per cominciare ad aprire gli occhi sulla societá Giapponese senza comunque impegnarsi troppo in analisi psico-sociologiche, ma cominciando a conoscere i Giapponesi non piú come extraterrestri ma come "uomini", nostri simili, semplicemente spegnendo quell'enorme sfavillante videogioco elettrico che é Tokyo, e vedere com'é fatto dentro.

É la vigilia di Natale, un uomo d'affari mente a sua moglie per incontrare la sua amante in un lussuoso albergo di Odaiba; un barista aspetta dentro al suo bar deserto il passare della notte prima della chiusura dell'attivitá; un ex carcerato cerca la sua ex fidanzata; una modella siede sul corniciome di un ospedale cercando il coraggio di suicidarsi; un vecchio aspetta la morte in ospedale; un ragazzino appassionato di satelliti osserva il cielo; una coppia di anziani vive in armonia il focolare domestico. Accade l'incredibile: una specie di meteorite si abbatte su una centrale elettrica e Tokyo si spegne.

Chiunque abbia vissuto Tokyo non potrebbe mai immaginarla senza elettricitá, ma paradossalmente proprio spegnendola é possibile vedere il suo vero cuore. Gli "extraterrestri" si tolgono le maschere da extraterrestri e cominciano a fare gli uomini, i problemi sono sempre gli stessi, come lo sono per noi, e il vederli attraverso degli occhi a mandorla non li rende meno dolorosi da vivere ed affrontare.
Si ama, si odia, si sbaglia, si tradisce, si scappa, si ha paura, si aspetta, si ruba, si gioisce... insomma si vive.

Il buio costringe la pupilla a dilatarsi e alla fine si vede pure meglio. E quella che mi piace definire "la cittá illuminata non da stelle naturali, ma da galassie elettriche", riesce di nuovo, incredibilmente a liberarsi di quell'aura di inquinamento luminoso e a "riveder le stelle", quelle vere.

Tralasciando l'ottima valenza didattica per i conoscitori superficiali di Giappone e Giapponesi, il film é un ottimo intreccio comunque giá visto di storie separate tra loro ma connesse indissolubilmente l'una all'altra, peccato per l'eccessiva lunghezza e ridondanza: con qualche limatura e qualche ripensamento in sede di montaggio perderei la voglia di definire questa pellicola, nonostante la passerella non trascurabile di star e le loro come sempre ottime prove recitative, "un'occasione sprecata".

大停電の夜に (Daiteiden No Yoru Ni - Il blackout notturno), titolo inglese "Until The Lights Come Back"

Giappone, 2005 - regia di Takashi Minamoto

sabato 4 luglio 2009

Tokyo!

Una produzione multinazionale per una pellicola recitata in Giapponese da attori di calibro (quasi sempre) Giapponesi ed ambientata in Giappone: una pellicola particolarissima divisa in tre episodi indipendenti e non connessi l'un l'altro, tre appassionate dichiarazioni di odio/amore per la più incommensurabile città del mondo opera di tre autorevoli registi di quel cinema non convenzionale che io tanto adoro.
Interior Design
Il Francese Michael Gondry forma questo visionario primo episodio. Akira e Hirokosi trasferiscono per qualche giorno a casa di Akemi, un'amica di lei. Akira è un aspirante regista che in città deve presentare il suo ultimo lavoro: sarà un cinema hard ad ospitare la proiezione del suo lungometraggio che comunque avverrà diversi giorni dopo il loro temporaneo trasferimento nella casa di Akemi che per le sue modeste dimensioni mal si addice ad ospitare più di due persone per volta. La coppia si dimostra da subito per niente in grado di trovare una soluzione a questo problema: la ricerca di un lavoro e di un appartamento in affitto vanno continuamente a vuoto, e proprio Akira, l'unico dei due ad avere qualche progetto nella vita, riesce quasi per caso a trovare lavoro come impacchettatore in un negozio di ceramiche. Col passare dei giorni il clima tra i due ed Akemi si fa sempre più pesante e la sitaizone si complica con l'arrivo del fidanzato di lei: per di più il rapporto tra gli stessi Akira e Hiroko si va deteriorando a causa delle mille difficoltà. Lo sconforto di Hiroko si trasforma così in un qualcosa di strano, molto strano.
Merde
Un altro francese, Leos Carax, dirige il secondo episodio. Un uomo occidentale sporco e storpio, con una strana barba e con degli strani vestiti, compie dei brevi raid per le strade di Tokyo, uscendo dalle fogne e rientrandovi subito dopo. L'uomo diventa presto noto all'opinione pubblica per la sua beffarda violenza nei confronti dei passanti. Il rinvenire delle bombe a mano in un deposito sotterraneo lo porta a provocare una strage a Shibuya. L'uomo viene arrestato e tutto il mondo impara a conoscerlo come "Merde" (che ha lo stesso significato della parola Italiana). Il suo linguaggio è incomprensibile, ma si fa avanti un bizzarro avvocato francese che ha dei tratti somatici estremamente simili a quelli del vagabondo che gli farà da traduttore per gli interrogatori.
Shaking Tokyo
Il più bello, secondo me, operadel regista coreano Joon-Ho Bong. Un uomo sulla quarantina ormai da 11 anni vive chiuso in casa, è un ひきこもり(Hikikomori), uno di quegli individui che in Giappone passano la propria vita isolandosi dal mondo esterno. La sua vita è perfetta, estremamente scandita da rituali precisi. Ma un terremoto e l'arrivo di una ragazza porta-pizze cambieranno la sua vita, per sempre...
Nonostante la diversità dei tre episodi ho trovato un interessante filo conduttore che li unisce in maniera indissolubile: tutti e tre i registi esprimono la difficoltà di "vivere" una città come Tokyo e un paese come il Giappone: per qualunque appassionato e sognatore sfegatato del Giappone, la visione di questo film è un delicato ridimensionamento di una infinita Disneyland marziana a semplice luogo di questo pianeta terra, abitato da gente normale alla quale non basta il denaro per vivere, gente normale che ha seri e comunissimi problemi, gente sucube di intolleranza e persecuzione, gente che ama e gente che odia, gente che ha paura, gente che soffre. Soprattutto Gondry e in maniera minore anche gli altri due, permeano le loro pellicole di quella "difficoltà" del vivere quotidiano che come una macchia s'insinua tra le vite dei loro personaggi, rovinandole. Parlando dell'episodio di Gondry in particolare, solo un genio visionario come il suo è in grado di far convivere un dolorosissimo realismo con la magia del sogno, o se vogliamo dell'incubo, entrambi sempre e comunque metaforici. Ayako Fujitani, già vista in Ritual di Hideaki Anno e Ryo Kase, il protagonista di それでもボクはやってない(Comunque sia, non sono stato io) sono degli attori davvero bravi e l'episodio ne trae enorme giovamento e credibilità.
Carax, a mio parere, con la storia della persecuzione di Merde tratta sempre metaforicamente un tema assolutamente d'attualità in Giappone: la diffidenza e la paura nei confronti degli stranieri. Merde parla un linguaggio incomprensibile, è ripugnante e puzzolente, si comporta in maniera maleducata e lontana anni luce dalla comune etichetta. Beh qualunque straniero, quando a Tokyo viene rifiutato da un tassista perchè "non Giapponese", o quando vede i vicini di metropolitana allontanarsi al proprio avvicinarsi, o se ha a che fare con la polizia, si sente come Merde, che diventa quasi un messia di un sospirato ammorbidimento da parte della società Giapponese tutta, nei confronti dei gaijin.
Bong, anche grazie alla presenza della bellissima e bravissima Yuu Aoi vince per assoluto distacco la gara del miglio episodio: un capolavoro di delicatezza e di poesia, che sono assolutamente difficili da descrivere e che denotano le sue grandi sensibilità e passione per il mondo Giapponese. Il cameo di Naoko Takenaka è imperdibile!
Un film davvero bello.
Tokyo!
Giappone, Francia, Germania, Corea del Sud, 2008 - regia di Michael Gondry, Leos Carax e Joon-Ho Bong

lunedì 1 giugno 2009

恋空 (Koizora - Il Cielo Dell'Amore)

Avevo sentito già diverse volte parlare di questo film, l'avevo disponibile in videoteca ma mai avevo concretizzato la sua visione, forse perchè durante l'esame di uno spezzone per il test dei sottotitoli avevo visto un tipo orrendo dai capelli talmente biondi che sin dall'inizio ho sentito antipatia nei suoi confronti... e non mi sbagliavo.

Siamo dentro ad uno di quei treni locali che attraversano la campagna Giapponese. Mika, seduta vicino al finestrino, crea degli origami e pensa ad un uomo, un uomo che le ha cambiato la vita, per sempre. Mika ha l'aria stanca, come fosse reduce da una guerra, e in effetti ne ha passate di tante, troppe.

Balzo indietro di sette anni: Mika è al primo anno delle superiori, sono passati tre mesi dall'inizio delle scuole. Mika è in bagno con la sua gonna cortissima, si mette un gloss sulle labbra: non si é ancora innamorata, e in realtà non sa da dove iniziare. Un giorno poi il suo sguardo s'incrocia con quello di un ragazzo, una specie di folletto biondo-Giapponese che porta la divisa come un teppistello e fa coppia fissa con un altro tipo pieno di Pearcing, di nome Nozomu, che sembra anch'egli un teppistello. La cosa sembra finire lí. Mika perde il cellulare in biblioteca, questo viene ritrovato da uno sconosciuto che lo mette in uno degli scaffali, avendo cura di cancellare tutta la rubrica della ragazza e di prendere il suo numero. Comincia una specie di stalking, lui dice di chiamarsi "segreto", e con Mika inizia una relazione a distanza che la prende sempre di più, fino a quando non s'incontrano. Quando Mika si accorge di avere davanti il biondino, scappa impaurita, lui insiste fino a che non escono assieme ed esplode l'ammmore.
Non posso proprio andare avanti, per non essere spoiler, ma da qui in poi Mika passerà davvero tante gioie, assieme a tanti guai, diciamo più guai che gioie.
Dunque: il film è tratto dal ケータイ小説(keitai shosetsu - romanzo scritto dal cellulare) intitolato 恋空~切ナイ恋物語(Koizora: Setsunai Koi Monogatari - Il Cielo Dell'amore: La Storia Dell'Amore Doloroso): è una specie di romanzo autobiografico scritto da una certa 美嘉(Mika), una tipa alquanto sfigata se davvero le sono accadute tutte le cose che si vedono nel film visto che lei stessa afferma che la storia è totalmente non inventata. La serie di romanzetti elettronici ha raggiunto i 25 milioni di lettori, e da questa è stato tratto nel 2007 questo film, e nel 2008 un drama di sei puntate. L'adattamento cinematografico è in tutto e per tutto un 純愛(Jun-ai – vero amore) e ne rispetta i canoni: storia d'amore dolorosa, morte o malattie varie e lacrime a fiumi.
Devo dire che mi piacciono i 純愛(Jun-ai – vero amore), ma devo fare il "Vincenzo Mollica al contrario" della situazione, dicendo sin dall'inizio che questo film non è bello. E spiego il perchè nei seguenti punti:
1) Il troppo storpia, come dicono i vecchi saggi, e qui questo proverbio non è mai stato così appropriato: la ragazza passa davvero troppi guai, talmente tanti che la storia rasenta il ridicolo. Una storia con così tanti guai andrebbe girata in tutt'altra maniera, magari utilizzando il vero genere drammatico e non il dramma scolastico giovanile, e non perchè in Giappone problemi del genere non esistano, ma perchè a mio parere non si risulta cinematograficamente credibili.
2) Il mieloso delle espressioni goffamente poetiche recitate da attori ragazzini che interpretano "adultamente" dei ragazzini e la fotografia satura di colore; il montaggio quasi da drama (vedere anche il punto "6" a questo proposito); la voce fuori campo e altre cose si scontrano con l'estrema gravità e dolorosa potenza dei temi trattati.
3) Io adoro 新垣結衣(Aragaki Yui), dai tempi del drama マイ★ボス マイ★ヒーロー(My Boss My Hero), di cui è splendida co-protagonista, ma dopo averla vista in questo film penso non sia proprio all'altezza di un'interpretazione cinematografica, e sarebbe davvero meglio che si concentrasse sui drama: certo dopo aver visto un Jun-Ai coi controcoglioni intitolato ただ、君を愛してる (Tada, Kimi Wo Ai Shiteru - Semplicemente, Ti Amo), con una "vera attrice" di nome 宮崎あおい(Miyazaki Aoi), la visione di Koizora fa crescere esponenzialmente la noia e lo scontento.
4) Sarà che dopo anni di cinematografia Giapponese ne ho visto tante, di storie, ma questo film è scontato già dall'inizio, io avevo indovinato il finale già da prima della fine del primo tempo: non ci sono idee concrete in questo adattamento.
5) Se c'è una cosa del cinema Giapponese che ho capito e in fondo apprezzato fin'ora, è che l'atto sessuale in tutte le sue forme, dal bacio, alla carezza spinta al rapporto completo, sono assolutamente sempre omessi o fatti immaginare allo spettatore, ma qui si va sull'esplicito, un'esplicito sgradevole che si materializza sia nelle immagini che nei racconti della voce fuori campo: quello che ho sempre amato dei Jun-Ai è la purezza sensoriale del rapporto amoroso, la distillazione della vera essenza del sentimento cosa che solo questa cinematografia Giapponese nella mia esperienza personale ha saputo esprimere. Siamo anni luce dalla poesia dell'Iwai di Love Letter, e dalla grezza potenza visiva dello Yukisada di Sekachu: persino un Norihiro Koizumi a 26 anni d'età ha fatto di meglio nel 2006 con la sua ottima opera prima Tayou no Uta.
6) Lo sconosciuto Natsuki Imai, regista di questo film, non ha fatto altro nella vita che drama, e la sua inesperienza cinematografica si sente tutta in questo film girato come un micro-drama.
7) Mai come in questo caso il tema la morte è sfruttato e abusato per risolvere il plot.
8) Spesso nei Jun-Ai c'è una piccola componente comica e sdrammatizzante, ma qui, nada.
Ci sono alcuni punti positivi, come alcune battute, ma tutto il resto è piattume e soprattutto alle donne piace (chiedete a Shiho che non ha ancora smesso di piangere).
恋空 (Koizora - Il Cielo Dell'Amore)
Giappone, 2007 - regia di Natsuki Imai

mercoledì 27 maggio 2009

おくりびと (Departures)

Masterpiece e vincitore del Far East 2009 (sia con l'Audience Award che col Black Dragon Award), premio oscar 2009 nella categoria "miglior film straniero", dozzine di premi assegnati nei festival cinematografici di tutto il mondo, e soprattutto in Giappone, quasi sempre nelle categorie "miglior film"; un successo stratosferico al botteghino in madre patria, cosa incredibile per un film con una sceneggiatura originale (pur liberamente basata sul libro autobiografico di Shinmon Aoki, 納棺夫日記(Nōkanfu Nikki), titolo inglese "Coffinman: The Journal of a Buddhist Mortician") non tratta da serie televisive o manga, e con un soggetto non comune, quello della morte e della gestione di un corpo morto, fisiologicamente fuggito e temuto dai "vivi". Corollario non trascurabile di tutto ciò è l'estremo tabù Giapponese della riservatezza della cerimonia funebre, riservata esclusivamente ai familiari stretti e quindi difficilmente esprimibile cinematograficamente senza suscitare contrastanti sentimenti nel pubblico nipponico.

Departures, termine proveniente direttamente dalla traduzione in inglese di una scena divertente del film, non è l'esatta traduzione del titolo Giapponese che è おくりびと(Okuribito): questa parola deriva dal verbo 見送る(Miokuru), che esprime l'azione del salutare dalla terra un defunto che già sta in cielo mentre lo si contempla con gli occhi. Si prende solo la parte del "salutare", 送る(Okuru) e la si unisce all'ideogramma 人(Hito), che unito al verbo precedentemente citato si ingorizza diventando "bito": "Okuribito" è la persona che saluta un morto in cielo, un significato più metaforico che fisico.

Siamo nel rigido inverno di 酒田(Sakata), prefettura di Yamagata. Un giovane 納棺師(nokanshi) esegue il rituale della ricomposizione del cadavere di una giovane e bellissima donna prima della sua deposizione nella bara. Il suo anziano mentore lo segue compiaciuto mettere in pratica gli aggraziati movimenti di un'arte antica ed affascinante, fulgida di pietà, composta dignità, piena dell'amore che i vivi non possono più dare ai morti, delegandolo così a persone uniche e speciali.

Prima di svolgere questo lavoro, Daigo era un violoncellista in una grande orchestra di Tokyo, purtroppo dopo lo scioglimento della stessa, il giovane si trova senza lavoro e decide di trasferirsi nella sua città natale, Sakata. Qui, in un giornale di inserzioni legge un annuncio: "cercasi personale, anche senza esperienza, agenzia specializzata in partenze". Convinto si tratti di un'agenzia di viaggi, Daigo prende contatto con l'anziano proprietario, che lo assume senza neanche leggerne il curriculum. Presto il ragazzo capirà che si tratta di un'agenzia funebre, una 葬儀屋(Sōgiya): il suo iniziale nascondersi lo mette al riparo da odiosi pettegolezzi che però, vista la dimensione ridotta della città non tardano ad arrivare, minando addirittura la solidità del suo matrimonio. Qui comincia per Daigo un nuovo percorso, a volte doloroso, per ritrovare pace e serenità interiori, ed il rispetto degli altri.

Bello, sensibile, struggente ed apparentemente perfetto: un film al quale in termini festivalieri ho dato un bel 5/5 (il voto era 4/5 ma nel mio metro di giudizio al FEFF i film Giapponesi hanno sempre un punto in più). Effettivamente, un non appassionato di cinema asiatico può veramente apprezzare questa pellicola: la classica lentezza cinematografica Giapponese lamentata da chi vi ci si avvicina per la prima volta è meno pesante del solito, il tema trattato è estremamente interessante per la sua rarità e vale pure la visione di due ore e dieci minuti di film: c'è un ottimo bilanciamento totale dell'insieme. Un film esportabilissimo, una scommessa vinta ancora una volta dal lungimirante e temerario produttore esecutivo 間瀬泰宏(Mase Yasuhiro). E' importante notare che Departures ha avuto la sua vittoria più importante in madrepatria, in Giappone, dove un enorme successo di pubblico ha sancito la caduta di un grande tabù, sdoganando cinematograficamente la figura del 納棺師(Nokanshi) e la pratica funeraria, cose che in anni di cinema Giapponese personalmente non avevo mai visto. Nessuno infatti avrebbe scommesso su questa pellicola, e il film parla proprio di questo problema: l'emarginazione di Daigo a causa del suo lavoro viene da un sentimento comune a tante popolazioni del mondo. Tutti abbiamo paura dei becchini, chiunque almeno una volta nella vita ha provato ad immaginare come sarebbe lavorare da becchino, e magari toccare i morti: non è in questo caso la "paura del diverso" ad atterrire le persone, ma la più naturale paura della morte, il fuggire ciò che si teme di più anche solo come idea. Da qui invece si possono creare le basi per creare un film interessante, perchè oltre a mostrare cose che nessuno ha mai visto (la pratica della composizione del cadavere di fronte ai parenti, almeno in Europa non penso sia così diffusa...), permette di mostrare una rassicurante quotidianità anche in un lavoro talmente particolare, ed è allora possibile mettere a proprio agio lo spettatore anche con l'inserimento di situazioni macabramente divertenti: un espediente, quello di giocare con la morte senza mai cadere nel cattivo gusto, assolutamente geniale.

Un'ottima interpretazione di 本木雅弘(Masahiro Motoki) nel ruolo di Daigo, e una non meno valida prova da 広末涼子(Hirosue Ryōko) il visino indimenticabile della figlia di Jean Reno in Wasabi, che interpreta sua moglie; gradevole la presenza di 山崎努(Yamazaki Tsutomu) una grande carriera cinematografica alle spalle e tanti ruoli di spessore (io non dimentico quello del nonno di Sakutaro in Sekachu), che interpreta l'anziano proprietario dell'agenzia.

Insomma, sono contento per questo premio Oscar, assolutamente non immeritato e che dà lustro al cinema Giapponese, dopo quello vinto nel 2001 da Hayao Miyazaki con 千と千尋の神隠し(Sen To Chihiro No Kamikakushi - La Città Incantata). Ma chi conosce bene in cinema Giapponese e ha fatto il callo al genere drammatico Giapponese contemporaneo, non può far altro che notare che anche questo è un film costruito ad arte per strappare lacrime, con un supporto sonoro non brutto nè sgradevole ma ripetitivo che se vogliamo enfatizza ancora di più le scene commoventi e tristi. Forse scontato come struttura, utilizza la morte per i suoi fini di genere, come tutti gli esponenti del genere 純愛(Jun-ai – vero amore), ma senza utilizzare il topic dell'amore. Grazie a questo film le autorità di Sakata dovrebbero ergere un monumento in onore della produzione, visto che l'affluenza turistica nella cittadina è spaventosamente esplosa fino a mettere in ginocchio le sue capacità ricettive, un pò come accadde per Aji, nell'isola di Shikoku, location di Sekachu, che ancora oggi vive di turismo cinematografico (io ho contribuito ad esso nell'estate del 2008).

Unico nel suo genere e irripetibile, come ciò che mostra, assolutamente imperdibile anche pure dal punto di vista della conoscenza della cultura Giapponese, ben fatto e mai noioso, delicato ma ironico, un equilibrio perfetto creato e perfezionato dal bravo regista 滝田洋二郎(Takita Yōjirō), equilibrio senza il quale, parole di Mase, andrebbe davvero tutto a rotoli.

Una foto ricordo al FEFF11 con 間瀬泰宏(Mase Yasuhiro), produttore di questo film, come dei thriller ospedalieri di Nakamura.

おくりびと(Okuribito - Departures)

Giappone, 2008 - regia di 滝田洋二郎(Takita Yōjirō)

lunedì 25 maggio 2009

K-20 怪人二十面相・伝 (La leggenda dell'uomo misterioso dalle venti facce)

Siamo nel Giappone "post-non-bellico", cioè nel 1949 ma senza che ci sia stata la Seconda Guerra Mondiale: l'Impero non ha mai fatto le scelte scellerate che portarono il paese del Sol Levante alla rovina (attacco a Pearl Harbor, ingresso in guerra con le potenze dell'asse etc.), e il paese vive in un irreale futurismo in stile prebellico, strane macchine volanti, una Blade-Runner di ghisa, acciaio e vapore, un bizzarro progresso tecnologico che però non ha toccato la società, persa come fosse congelata in quell'apparente eterno medioevo dal quale, nel bene e nel male il Giappone uscì solo dopo la fine della guerra, dopo lo sterminio nucleare e l'occupazione Americana: una società settorialmente divisa in un'opulenta aristocrazia che domina un poverissimo ceto povero.
Siamo nella immaginaria capitale "Teito". Durante la presentazione di una straordinaria invenzione opera del leggendario dottor Tesla, un misterioso individuo s'impadronisce della macchina e provoca una strage: è il famigerato criminale mescherato chiamato "Venti Facce". Il detective Kogoro Akechi, accompagnato dal suo inquietante assistente bambino, continua le indagini per catturare il manigoldo. Giù nei bassifondi intanto l'impavido acrobata Heikichi Endo, dopo aver terminato la sua esibizione in uno spettacolo veien avvicinato da uno strano signore che lo paga per portare a termine un pericoloso lavoro, che dev'essere portato a compimento al ricevimento per l'annunciazione delle nozze del detective Kogoro con la sua nobile fidanzata, Yoko Hashiba: Le cose vanno male e lo sfortunato Heikichi viene irrimediabilmente scambiato per il criminale "Venti Facce", e braccato. Il ragazzo dovrà così affrontare un'intera città che lo insegue, l'astuto detective Kogoro, il pericoloso criminale, e salvare il mond... beh non per essere spoler, ma insomma i film di super-eroi alla fine sono tutti così...

Non ero eccezionalmente interessato a questo film: adoro i film di super-eroi Giapponesi, ma quelli che non si prendono sul serio, come il bellissimo Zebra-man di Miike, per dirne uno: qui siamo ad un marvel-film Giapponese, e il confronto soprattutto per quello che non vuole essere un film innovativo ma un film che insegue un filone già affermato e con più che autorevoli esponenti, non poteva che essere a suo totale sfavore. Devo dire di essermi ricreduto, anche se in parte. Tratta e adattata dal lavoro di 北村想(Kitamura Sō), la sceneggiatura è agile e frizzante, come la capacità registica della sua scrittrice, 佐藤嗣麻子(Satō Shimako). Ad attirare le masse, soprattutto di ragazze e signore, c'è la star Nippo-Taiwanese 金城武(Kaneshiro Takeshi), un ottimo talento recitativo. La protagonista femminile è interpretata da 松たか子(Matsu Takako), per me identica alla protagonista dei recentissimi thriller ospedalieri di Nakamura, Yuko Takeuchi.
Il film diverte ed intriga, l'intreccio è avvincente ed i colpi di scena non mancano, le scene d'azione sono avvincenti, ma gli effetti speciali del cinema Giapponese, permettetemi di dirlo, non sono ancora all'altezza degli standard Americani e Neo-Zelandesi. C'è sempre la spada di Damocle del confronto coi filmoni targati Marvel, ma non penso si possa proprio volere di più per questo genere cinematografico, dal cinema Giapponese.
K-20 怪人二十面相・伝(K-20 Kaijin Ni-Jū Mensō Den - La leggenda dell'uomo misterioso dalle venti facce)
Giappone, 2008 - regia di 佐藤嗣麻子(Satō Shimako)

venerdì 22 maggio 2009

ジェネラル・ルージュの凱旋 (Il Trionfo del Generale Rosso)

Dopo チーム・バチスタの栄光(Chiimu Bachisuta No Eiko - La gloria del Team Batista) e フィッシュストーリー (Fisshu Sutoorii - Fish Story), incontro per la terza volta Yoshihiro Nakamura al Far East, e qui pur dopo la dolorosa delusione di Fish Story non c'era alcun dubbio sull'assoluta bontà del prodotto: come da anticipazione, una specie di soft thriller investigativo in salsa ospedaliera (per l'appunto il seguito del gradevole "La gloria del Team Batista").

Si ritorna al 東城大学医学部付属病院(Tōjō Daigaku Igakubu Fuzoku Byōin - Ospedale Universitario Tojo), lo stesso immaginario ospedale nella periferia di Tokyo: la timida ma intraprendente dottoressa Kimiko Taguchi, psicologa e brillante improvvisata investigatrice ai tempi delle vicende del prequel, è stata nominata capo della commissione etica dell'ospedale, un compito non certo facile per un animo quieto come il suo. La vita nell'ospedale procede pacifica fino a che la Taguchi riceve una lettera anonima che la mette a conoscenza di presunti loschi affari in ambito di forniture compiuti dal dottor Koichi Hayami, chiamato "il generale rosso", l'onnipotente responsabile del pronto soccorso, con la complicita' della sua capo infermiera, la signora Miwa Hanabusa. Come se non bastasse, sull'eliporto dell'ospedale atterra un elicottero ambulanza che trasporta un paziente speciale: Keisuke Shiratori, pezzo grosso del ministero della sanità e vecchia conoscenza della Taguchi (aveva partecipato all'indagine sui misfatti del team Batista). L'arrivo del signor Shiratori provoca un'improvvisa orticaria alla Taguchi, che sa che una semplice frattura alla gamba del burocrate non giustifica il trasferimento dello stesso in elicottero e che guai grossi sono in arrivo: infatti pure Shiratori ha ricevuto una lettera anonima con lo stesso contenuto, e per di più il fornitore di attrezzature del Generale Rosso muore (suicida?) cadendo dall'eliporto, situato sul tetto dell'ospedale. La Taguchi si ritrova così catapultata in una nuova crisi, in obbligo di investigare visto anche il suo ruolo di capo della commissione etica, e di nuovo con l'insopportabile ma simpatico Shiratori alle calcagna.

Dopo un anno dalla visione di チーム・バチスタの栄光(Chiimu Bachisuta No Eiko - La gloria del Team Batista), come gia' detto sempre di Nakamura, mi tuffo di nuovo nell'atmosfera familiare dell'ospedale Tojo. E' un piacere incontrare di nuovo la gradevolissima figura della dottoressa Taguchi, un personaggio dotato di una grande sensibilita' ed umilta' e che non si fa fatica ad amare a prima vista e interpretato da una sempre brava 竹内結子(Takeuchi Yūko). Non si poteva fare un seguito del blockbuster datato 2008 senza riproporre il mitico 阿部寛(Abe Hiroshi), anche questa volta colonna portante della pellicola e protagonista di scene incredibili (la scena del reparto di pediatria coi bambini che lo sfottono è già da leggenda). Anche qui pochi difetti, forse nessuno, e se vogliamo una migliore gestione generale delle risorse: tralasciando la storia, comunque non originale ed adattata sempre dai lavori di 海堂尊(Kaido Takeru), la sensazione generale è che il sequel sia migliore del prequel. Una regia più audace in certe inquadrature, addirittura effetti speciali in post-produzione per una scena particolarmente estrema, e comunque un meccanismo di personaggi prefettamente collaudato ed oliato.
Dopo la visione, vista la delusione di フィッシュストーリー (Fisshu Sutoorii - Fish Story) ho pensato che Nakamura sia di sicuro un ottimo regista e sceneggiatore, ma che vada assolutamente controllato da qualcuno (in questo caso e in quello del prequel la TBS ha fatto il suo).
Due ore di divertimento senza pensieri. Consiglio questi due film e qualsiasi altro sequel dovesse essere prodotto.
ジェネラル・ルージュの凱旋 (Jeneraru Ruuju No Gaisen - Il Trionfo del Generale Rosso)
Giappone, 2009 - regia di Yoshihiro Nakamura

mercoledì 20 maggio 2009

チーム・バチスタの栄光 (La gloria del Team Batista)

Il film Giapponese più "grande" del Far East 2008. Grande in termini di audience: a detta del presidente della TBS (Tokyo Broadcasting System), presente in sala, un successo di pubblico senza precedenti; grande in termini di budget di produzione: un blockbuster fatto per guadagnare, una macchina da soldi praticamente perfetta; grande in termini di divertimento: si perchè questo film intrattiene alla grande.
Siamo nell'enorme 東城大学医学部付属病院(Tōjō Daigaku Igakubu Fuzoku Byōin - Ospedale Universitario Tojo), un immaginario ospedale nella periferia di Tokyo. Qui opera una famosissima equipe cardio-chirurgica che applica un innovativo e a quanto pare vincente metodo nelle operazioni a cuore aperto. Il Team, dopo gli incredibili successi nella risoluzione di casi disperati che hanno portato lustro all'intera struttura sanitaria, comincia a perdere dei pazienti per decesso in sala operatoria. La dottoressa Kimiko Taguchi, appassionata giocatrice di softball nonchè calma e inoffensiva psicologa, viene incaricata di interrogare i vari componenti del team, per cercare di capire le cause di questa serie inspiegabile ed allarmante di decessi. La sua inchiesta si conclude con un ingenuo verdetto di assoluzione nei confronti del team, apparentemente impotente di fronte a quelli che vengono stabiliti come decessi accidentali. Arriva intanto dal ministero Keisuke Shiratori, un investigatore incaricato di far luce sulla vicenda. Shiratori metterà scompiglio in tutto l'ospedale con la sua impulsività che darà non poco filo da torcere alla timida Taguchi, ma che porterà una nuova luce sugli avvenimenti.
Come dicevo prima チーム・バチスタの栄光(Chiimu Bachisuta No Eiko - La gloria del Team Batista) è un film che fa semplicemente il suo dovere: intrattenere e fare soldi: è una macchina collaudata quella del giallo Giapponese senza sangue e senza violenza. Tratto dall'omonimo romanzo di 海堂尊(Kaido Takeru), è alla fine una lunghissima puntata de "La Signora In Giallo", in cui la mia seconda nonna Angela Lansbury risolveva crimini in ogni dove (sono sempre stato convinto che portasse sfiga perchè ovunque andasse ci scappava il morto), ma gli attori di calibro, la produzione miliardaria e una storia moderna ed intrigante fanno di questo film un bellissimo film giallo con contorni di commedia. I personaggi, pur di contorno, sono ottimamente definiti e ognuno di loro ha un suo misterioso carisma: 竹内結子(Takeuchi Yūko), che interpreta la dottoressa Taguchi è incredibilmente dolce nella sua sincera goffaggine; 阿部寛(Abe Hiroshi), che interpreta il politico Shiratori non ha certo bisogno di presentazioni, e qui sfoggia una faccia da schiaffi da primato e riesce a dare al suo personaggio una potenza carismatica non indifferente: penso che questo film non sarebbe nulla senza di lui. E a quanto pare anche la sanità Giapponese ha le sue magagne, e forse anche a questo scottante tema si deve la grande affluenza di pubblico.
Divertente, intrigante, passa via in un lampo.
チーム・バチスタの栄光(Chiimu Bachisuta No Eiko - La gloria del Team Batista)
Giappone, 2008 - Regia di Yoshihiro Nakamura

venerdì 15 maggio 2009

ドロップ (Drop)

Hiroshi, un tranquillo studente di un liceo privato giapponese, nel pieno dell'enfasi generata dalla sua passione per i manga, decide di emulare i suoi eroi di carta trasferendosi in una scuola pubblica dominata da bande con lo scopo di affiliarsi ad una di esse. La sua nuova acconciatura non proprio convenzionale lo rende subito bersaglio della banda dominante della scuola, portandolo subito ad uno scontro con il capo della stessa, Tatsuya. Hiroshi non e' certo bravo coi pugni, anzi fa proprio pena, e l'incontro si trasforma in un massacro.

La perseveranza del bizzarro nuovo arrivato pero' colpisce il bullo Tatsuya, che alla fine dell'incontro lo invita a mangiare un piatto di Ramen. Il resto della banda, rimasto in disparte durante il combattimento, si unisce al banchetto: sono il martello umano Moriki, il ciccio-bambinone Wanko e il furfantello "Lupin", che pure provvede al pagamento del pasto grazie ai proventi delle sue ruberie. tra Hiroshi e la banda, e soprattutto con Tetsuya nasce una profonda amicizia che li leghera' e li portera ad affrontare, uniti, tutti i "nemici" che sbarreranno loro la strada, in quello che soprattutto per Hiroshi sara' un duro percorso di crescita.

Il film è tratto dal fumetto disegnato da 鈴木ダイ(Suzuki Dai), scritto dal regista 品川祐(Shinagawa Hiroshi) ed ispirato fedelmente al romanzo autobiografico dello stesso Shinagawa (tutte le opere hano lo stesso titolo, ドロップ (Doroppu - Drop)). Hiroshi Shinagawa, figlio di un ricco uomo d'affari ed appassionato di manga basati su storie di teppistelli, si traferì in una scuola pubblica per poter vivere come i suoi eroi: Hiroshi è il suo omonimo e piuttosto fantasioso alter ego.

Chi si avvicinasse per la prima volta al Giappone attraverso questo genere di prodotti d'intrattenimento, parlo dei manga, degli anime e dei film basati su storie di teppismo, potrebbe facilmente farsi un'idea sbagliata sul mondo giovanile nipponico. Da diversi mesi sto portando avanti uno studio sul fenomeno del bullismo in Giappone: non dispongo ancora dei risultati definitivi ma posso dire che lo spazio riservato dai media d'intrattenimento a questo triste fenomeno sociale e' sovradimensionato rispetto alla reale entità dello stesso, che in verità non si discosta come caratteristiche da realtà a noi piu' familiari, come ad esempio quella Italiana: una breve consultazione con la mia ragazza, Shiho, mi ha permesso di capire che anche per quanto riguarda il teppismo, siamo ancora sull'esagerazione. Questo non vuol dire che i teppisti non esistano: ma il loro ambito d'azione soprattutto a livello scolastico è estremamente limitato, vuoi per la dura repressione dei dirigenti, vuoi perchè in una scuola Giapponese non c'è proprio spazio nè tempo per gli scarti della società, che vengono prontamente allontanati da questi ambienti. I reietti sono soliti affiliarsi poi alle bande di motociclisti o di 右翼団体(Uyoku Dantai - Gruppi di estrema destra). Penso che il signor Shinagawa sia rimasto deluso dalla realtà scoperta nella scuola pubblica in cui si era trasferito per fare a botte e vivere come i suoi beniamini.

Ma prendendo il genere nippo-teppista come puro entertainment, ci si può divertire davvero tanto, e le spettatrici possono trovare una vasta varietà di idol di cui immamorarsi. Non è certo un lavoro facile poi quello dell'idol Giapponese: non si tratta di recitare un po' alla rinfusa senza avere idea di cosa sia la recitazione stessa (vedi i nostrani Scamarcio & co.), la maggior parte degli attoruccioli Giapponesi recita alla grande (tralasciando quando fanno l'odiosissima risata finta), ed è un lavoro a tempo pieno perchè nella maggior parte dei casi devono pure cantare e ballare la sigla di coda, come anche fa 成宮寛貴(Narimiya "faccia da schiaffi" Hiroki), l'interprete del personaggio di Hiroshi, perfetto nel suo ruolo e davvero bravo (ma rimandato in "pianto"). Anche l'interprete del personaggio di Tetsuya, 水嶋ヒロ(Hiro Mizushima), al secolo 斉藤智裕(Saito Tomohiro), è uno dei piu' famosi nippo-bellocci del momento.
La mia impressione post proiezione è stata quella di uno scarso bilanciamento tra i momenti topici del film, cioè la parte "teppistica" e quella "umana", definitamente separate temporalmente nell'arco delle due ore di durata della pellicola e forse troppo poco fuse tra di loro: non penso sia facile condensare un manga in due ore di film, considerando che la trasposizione cinematografica di questa storia è estremamente realistica (alcune scene finiscono addirittura in fading con i disegni originali del manga di Suzuki). Un film comunque divertente, allegro e innocente pur nella sua stessa violenza, e nella sempre gradevole per la rilassante non letalità di tutti gli scontri (per questo aspetto, nonostante l'abbondanza di sangue e cerotti, ricorda un pò l'atmosfera dei film con Bud Spencer e Terence Hill), e capace di slanci ardimentosi e assolutamente credibili di profondità morale: secondo me degno di una proiezione serale al Far East Festival, e invece relegato alla mattina. Varrebbe la pena di vederlo solo per la presenza dei cameo di 哀川翔(Aikawa Shō) e 遠藤憲一(Endo Kenichi), il primo interpreta un poliziotto e il secondo un ex yakuza, due grandi attori (fantastica la schermaglia tra i due a colpi di bakayaro).
ドロップ (Doroppu - Drop)
Giappone, 2008 - regia di 品川祐(Shinagawa Hiroshi)

sabato 2 maggio 2009

インスタント沼 (La palude istantanea)

Annunci pomposi in scaletta al Far East 11: "in anteprima mondiale in proiezione l'ultimo film di 三木聡(Miki Satoshi), インスタント沼(Insutanto numa - La Palude Istantanea)". Cosa si prova ad essere una delle prime persone al mondo a vedere un film?
Haname Jinchoge lavora nella redazione di una rivista sull'orlo del fallimento finanziario: dopo aver perso il lavoro e il suo uomo, si rassegna a vivere una vita solitaria, e tenta di aprire una piccola attivita' commerciale. Un giorno, mentre e' in visita al capezzale della bizzarra madre quasi morta annegata mentre era alla ricerca di un folletto acquatico, trova una lettera scritta da un signore che porta il suo stesso cognome: che haname abbia trovato il suo vero padre? Il signor Noburo Jinchoge e' un bizzarro hippie che gestisce un negozio di cianfrusaglie. Da qui la trama letteralmente impazzisce, non so dire altro...
Dopo aver visto quattro dei suoi sei lavori, ho imparato ad amare, ma anche a temere questo folle regista Giapponese: un inizio sfolgorante e promettente con イン・ザ・プール(In Za Puuru - Nella Piscina), del 2005, poi l'ottima prova del piacevolissimo 亀は意外と速く泳ぐ(Kame wa igai to hayaku oyogu - Le tartarughe nuotano più velocemente di quanto si pensi): non ho visto ダメジン(Damejin) del 2006, ma con 図鑑に載ってない虫(Zukan ni nottenai mushi - Deathfix: Die And Let Live) del 2007 c'è stata una caduta terrificante di stile ed inventiva, era una poltiglia appicicaticcia ed informe, come il leggendario vomito-okonomiyaki sul cofano della decappotabile rossa (e buona pace della brava Rinko Kikuchi che appariva come attrice co-protagonista); il 2007 ha visto anche l'uscita di quello che forse è da considerare il capolavoro di Miki Satoshi, e forse uno sei più bei film Giapponesi degli ultimi anni, un gioiellino che s'intitola 転々(Ten-ten - Adrift In Tokyo). Poi buio totale sino ad oggi, ed ecco un'altra ciofeca.
E' possibile che io proprio non capisca una certa comicità, forse sono davvero di un'altro pianeta, ma la visione di questo film era terrificante, era difficile rimanere seduti in sala e mi è capitato pochissime volte, se poi consideriamo l'idiota che stava seduto dietro di me e che diceva "LOL" con voce da scemo ad ogni scena simpatica, il quadro era completo. Cosa si prova dunque ad essere uno dei primi individui sulla terra a vedere un film? Se il film è questo, meglio stare a casa!!
Da dimenticare, in attesa del prossimo capolavoro, che dovrebbe arrivare, tenendo conto della bizzarra ciclicità del nostro amico pazzerello...
インスタント沼 (Insutanto numa - La Palude Istantanea)
Giappone, 2009 - regia di 三木聡(Miki Satoshi)