mercoledì 29 ottobre 2008

秒速5センチメートル (Cinque Centimetri Al Secondo)

Ho scoperto questo film d'animazione qualche giorno fa' mentre spulciavo l'archivio di Asianworld. Le premesse erano beneauguranti, grande risposta di pubblico, e screenshot da urlo. 秒速5センチメートル(Byōsoku Go Senchimētoru - 5 Centimetri Al Secondo) è un lungometraggio animato in tre piccole puntate: le prime due della durata di circa 25 minuti e la terza di 14. I titoli delle puntate sono: 桜花抄(Ōkashō); コスモナウト(Kosumonauto) e 秒速5センチメートル(Byōsoku Go Senchimētoru).
遠野貴樹(Tōno Takaki) è un bambino come tanti, alle elementari si affeziona ad una sua compagna di classe che si chiama 篠原明里(Shinohara Akari). La loro amicizia li rende oggetto di facile scherno da parte dei compagni. La fine delle elementari segna per loro una separazione: la famiglia di Akari infatti si trasferisce a Tochigi, mentre Takaki rimane a Tokyo. E' l'inizio di un rapporto epistolare molto intenso, e di un doloroso rincorrersi non solo fisico ma soprattutto mentale che non avrà mai fine.
L'aspetto materialmente grafico ed estetico di questa opera è assolutamente stravolgente: una realismo estenuante e puntiglioso che a mio parere si fa interpretare come una sfavillante reinterpretazione della realtà. Dovrei cercare di recuperare i precedenti lavori di questo regista, 新海誠(Shinkai Makoto) per cercare di capire dal suo percorso artistico le sue vere intenzioni. La narrazione attraverso le immagini sfavillanti che corrono nello schermo è un'organolettica esperienza che attraverso lo spazio, il tempo inteso proprio come passare dei minuti e delle ore, e le sensazioni più semplici ma vicine a noi come il freddo e il caldo, vogliono far vivere un'esperienza allo spettatore. addirittura i personaggi diventano quasi delle grezze figure che si muovono, inquadrate quasi con sommessa riservatezza o chissà cosa all'interno di un succedersi si paesaggi e panorami, ma anche close-up di oggetti del vivere quotidiano. Vista la mia poca conoscenza di Shinkai, azzardare una qualsiasi ipotesi sugli intenti di questo strano modo di vedere le cose sarebbe azzardato, ma per come la vedo io al momento, il film è una storia d'amore toccante, delicata, giapponesissima, raccontata in maniera ridondante e con estrema freddezza. Ho proprio avuto l'impressione che Shinkai volesse dire "ecco, guardate come sono bravo a fare la porta del treno", oppure "quando mai avete visto i cartelli della stazione di Shinjuku fatti così bene?"...

Si perchè il realismo è estremo, guardate i riflessi sul pavimento tirato a lucido: le scuole Giapponesi hanno proprio il pavimento tirato a lucido....

Il cestello della bicicletta ha le sue belle viti, e quelle bottiglie vuote hanno un'etichetta talmente realistica che potrebbe sembrare una foto ritoccata...

E quest'aula vuota, i banchi realisticamente disegnati in posizione imperfetta, il riflesso sul legno lucido delle sedie...

Questa strada, ne puoi vedere migliaia uguali a Tokyo, ma il riflesso dei cavi elettrici sull'asfalto e le tonalità di colore, che roba ragazzi...

Ma a che pro? Narrare una storia d'amore intermezzando centinaia di inquadrature come queste...mi ricorda il gruppo rock dei Dream Theater, sono dei fenomeni con gli strumenti, ma se la tirano troppo con il virtuosismo fino a diventare eccessivi come una torta con sopra due chili di zucchero. La chiave d'interpretazione potrebbe essere il dare al giapponese che vede il film le sensazioni che ben conosce dal suo passato, e tramite queste immagini di familiare rimembranza farlo immergere in un'atmosfera tale da generare un buon terreno di coltura per lo sviluppo di quel bel sentimento di tristezza misto a commozione che tutti i film 純愛(Jun-ai – vero amore) vogliono comunicare. La mia esperienza giapponese mi ha permesso di apprezzare questa familiare rimembranza: è bello vedere il treno della Chuo line, gli enormi corridoi della stazione di Shinjuku che più di una volta ho percorso, e il grattacielo della DOCOMO visto dal soprapassaggio sopra il ponte di Harajuku, le luci abbaglianti di un Konbini con i frigoriferi delle bevande posizionati sempre nella stessa posizione, lì in fondo nel muro opposto all'entrata. Ma per chi non conosce il Giappone, dopo i primi venti minuti sopraggiunge la noia, è inutile negarlo. Tralasciando la parte grafica, vera colonna portante del lavoro, la trama e la sceneggiatura sono approssimative, con volontarie pause e tagli in punti strategici che non fanno altro che troncare, forse volutamente, qualcosa di importante.

Penso sia estremamente educativo per chiunque voglia conoscere come ragionano 'sti Giapponesi: questo film è l'enunciazione di un concetto che da tempo sto cercando di sviluppare ed ancora adesso mi viene difficile descrivere: sono solito definirla "virtualità". I Giapponesi hanno questa innata capacità di creare nella loro mente un microcosmo che gli permette di alienarsi dalla realtà e di perseverare in ciò in cui credono: questo può essere un sentimento d'amore, l'ammirazione per un personaggio famoso, la passione per un hobby, il lavoro o la famiglia. Per quanto riguarda i sentimenti amorosi, l'alienazione dalla realtà è talmente forte che anche a distanza dalla persona amata, anche se non corrisposti, uomini e donne coltivano dentro il loro cuore un amore talmente sconfinato da essere distruttivo. Ma quando i nodi arrivano al pettine, quando si passano cinque anni di scuola superiore a guardare una ragazza o un ragazzo e scrivere a questa persona lettere d'amore, e ci si deve dichiarare (perchè è ora di andare all'università), stanno zitti. Perchè fanno così? Un sentimento covato troppo a lungo diventa polvere di stelle che vaga isterica per l'universo, la mitizzazione e l'adorazione portano all'alienazione e il contatto con la realtà è distrugge un fragile guscio già svuotato al suo interno dalla suddetta polvere di stelle. La realtà è talmente brutta, che è meglio continuare a sognare.

秒速5センチメートル(Cinque Centimetri Al Secondo) è un esercizio di stile a tratti stucchevole ma bellissimo, e una storia estremamente "Giapponese" che non soddisfa di certo un non Giapponese.

秒速5センチメートル(Byōsoku Go Senchimētoru - 5 Centimetri Al Secondo)

Giappone, 2007 - regia di 新海誠(Shinkai Makoto)

mercoledì 22 ottobre 2008

Undo (アンドゥー)

In ordine cronologico, il primo "mediometraggio" di 岩井俊二(Shunji Iwai), che sarà seguito nel 1996 da ピックニック(Pikkunikku - Picnic) e nel 1998 da 四月物語(Shigatsu Monogatari - April Story).
Yukio e Moemi sono una giovane coppia. Yukio, sapendo che la moglie desidererebbe possedere un cane, ma essendo cosciente del fatto che l'appartamento in cui vivono non sia adatto ad accogliere un animale come un cane, e neanche un più piccolo gatto, porta a casa due tartarughe. Moemi non apprezza la decisione del marito ma lo asseconda. La vita matrimoniale non è certo il massimo per Moemi, che passa le giornate ad aspettare che il marito si stacchi dal computer sul quale lavora. Un giorno Yukio trova le tartarughe che camminano per il pavimento di casa col guscio completamente avvolto da una trama di fili bianchi, la lana con cui la moglie confeziona dei lavori a maglia. Poi va nella libreria per cercare un libro, e si accorge che alcuni libri sono stati legati allo stesso modo; prende le forbici per rompere i nodi, ma anche le forbici sono intasate di una matassa di fili bianchi. Yukio si accorge che c'è un problema (ed era ora) quando vede la moglie che lo guarda in cerca di aiuto con le mani completamente annodate dalla lana del vestitino che confezionava, ormai distrutto da una furia insipegabile. Si recano da uno psicologo, che dice a Yukio che potrebbe essere un disturbo dato da qualche problema nella vita amorosa. Yukio cerca di porre rimedio a ciò, ma complica sempre più le cose fino a che la situazione non sarà più recuperabile.
Il film è estremamente breve, solo 47 minuti, ma come Iwai mi ha insegnato coi suoi successivi mediometraggi, è un tempo più che sufficiente per comunicare ciò che si vuole comunicare, se lo si sa fare. Iwai è forse il maggiore genio sperimentatore del cinema giapponese contemporaneo, non un visionario nè un genio folle, ma pragmatico comunicatore di realtà.
In "Undo", Iwai utilizza una giovane coppia per parlare dei problemi della coppia moderna, ma più in particolare a mio modo di vedere della coppia Giapponese. La genialità di questo film sta nel rendere gli avvenimenti vissuti da questa coppia una metafora della parabola discendente della coppia giapponese tipo. La vita di coppia in Giappone fa schifo, oltre al lavoro che impegna la maggior parte del tempo dell'uomo, e recentemente anche della donna, c'è un'assoluta disparità di considerazione e rispetto tra il sesso maschile e quello femminile. In Giappone nella maggior parte delle famiglie è l'uomo a comandare e a prendere le decisioni, e la donna è l'assegnataria dei lavori domestici, oltrechè della crescita dei figli. In Giappone, la donna deve addirittura utilizzare delle particolari forme verbali per addolcire il suo linguaggio. Il dialogo è ridotto a zero. Pur accennando questi aspetti, come ad esempio la decisione di Yukio di prendere le tartarughe come animali domestici, la disperata pulsione dell'uomo giapponese di "prendere la decisione a suo parere migliore per la famiglia" senza considerare invece i sentimenti dei componenti della famiglia stessa, Iwai non infierisce ma si concentra sulla parabola discendente dei personaggi che ha creato.
In particolare, il fuoco di questa analisi registica terribilmente clinica si concentra più che sulle cose materiali e gli aspetti della vita di coppia, nell'essenza dell'amore nella coppia e nelle intrinseche conseguenze di comportamenti che nella vita reale sono rarefatti in tanti anni di consuetudine, ma nel racconto in pochi minuti. Dopo essersi accorto della mania patologica della moglie, Yukio parla con lo psicologo che gli dice: "Forse lei sta trattenendo e limitando sua moglie", lui risponde: "No, invece la sto lasciando andare". Yukio commette il più grande errore dimostrando la sua assoluta mancanza di senso di valutazione, ma cosa ancor più grave, di sensibilità, cosa di cui molte volte si rende colpevole l'uomo giapponese, che antepone molto, moltissimo alla compagna ed alla costruzione di un sano rapporto di uguaglianza per lo meno psicologica con essa.
Odio fare qualunquismo e generalizzare, ma è facile trovare dei capisaldi negativi nella vita di copipa Giapponese: oltre ai già citati comportamenti sessisti inculcati dalla società (presenza in maniera ancora massiccia di scuole maschili e scuole femminili, differenze nel linguaggio tra uomo e donna, differenze addirittura nella postura e canoni di comportamento non obbligatori ma "caldamente consigliati come opportuni" e via dicendo), vi sono dei comportamenti comuni come l'assoluta mancanza di dialogo tra coniugi, l'assoluta non partecipazione del maschio nelle faccende domestiche e nella crescita dei figli, la malata dedizione all'azienda che porta a trascurare la famiglia per opportune cene tra colleghi e pesanti bevute notturne (la mattina presto non è raro vedere dei signori in giacca e cravatta buttati come barboni sulle panchine quando va bene..).
Tutto ciò si aggiunge alla rassegnazione delle donne che accettano la loro condizione come normale anche se abominevole, e vanno avanti accettando anche cose orribili come la frequentazione dei キャバクラ(Kyabakura) da parte dei loro uomini, una pratica decisamente normale in un coppia Giapponese a giudicare da quanto ho avuto modo di conoscere: addirittura si arriva anche alla totale mancanza di dialogo, e l'uomo prende l'abitudine di andare a parlare dei suoi problemi, dubbi, insicurezze, con una ragazza che lo ascolta a pagamento, magari in biancheria intima. Ricordo fulgidamente una discussione che ebbi con una mia amica Giapponese sposata. Lei parlando di Kyabakura mi disse che tutti lo fanno, e al mio disappunto soprattutto in difesa delle stesse donne, trattate come "elettrodomestico" dagli uomini Giapponesi, lei rispose che "gli uomini Giapponesi lavorano tanto e sono terribilmente stanchi", mi disse che "non puoi capire cosa si provi e come ci si senta", e infine concluse in questo modo: "gli uomini Giapponesi hanno fatto grande il Giappone col loro lavoro, e le loro donne sono sempre state dietro di loro a supportarli". E' inutile, ti scontri con una cultura diversa dalla tua, cose che non puoi neanche lontanamente concepire si presentano davanti a te.
E soprattutto alla luce di questa mia lunghissima (ma assai breve in realtà) esposizione dei fatti sulla coppia Giapponese, e soprattutto alla luce della precedentemente spiegata rassegnazione femminile al destino infausto di nascere donna in Giappone, Iwai è una volta di più comunicatore ed esortatore di cambiamento: come in リリイ・シュシュのすべて(riri shushu no subete - All About Lily Chou-Chou) denuncia tragicamente la spirale di bullismo e prostituzione in cui molti giovani Giapponesi stanno cadendo, qui fa decisamente e costruttivamente sfigurare l'uomo Giapponese, e dà alla donna del suo film una facoltà della quale la donna comune si priva: la facoltà di valutare, e scegliere.
La bravura degli attori, 豊川悦司(Etsushi Toyokawa) e 山口智子(Tomoko Yamaguchi), e impressionante, basta vedere la naturalezza con la quale si toccano ed interagiscono sessualmente, la fotografia è da scuola di cinema e le scenografie geniali come nel miglior Tsukamoto. Assolutamente da vedere.
Undo (アンドゥー)
Giappone, 1994 - regia di Shunji Iwai

lunedì 20 ottobre 2008

スケバン刑事 コードネーム=麻宮サキ (La capo-banda detective. Nome in codice: Asamiya Saki) (UPDATED)

“Un film poco impegnato”. Con questo spirito ho intrapreso la visione di questo lavoro di 深作健太(Kenta Fukasaku), figlio dell'immenso 深作欣二(Kinji Fukasaku), uno dei migliori registi che il Giappone abbia mai avuto. Kenta, come primo lavoro di una finora anonima carriera registica, con risultati non esaltanti ha preso le redini di バトル・ロワイヤルII - 鎮魂歌(Battle Royale II - Requiem), rimasto incompleto a causa della morte del padre che lo aveva iniziato,, e ha parteciparo come autore al primo バトル・ロワイヤル(Battle Royale). Come ho assistito con scetticismo alla proiezione del primo film del figlio di Miyazaki, anche in questo caso di certo l'attesa non era alle stelle come per un film di Kinji.
和田慎二(Shinji Wada) col suo manga スケバン刑事(Sukeban Deka - La capo-banda detective) del 1979 ha iniziato una serie di successo che si è tradotta nella produzione di 3 serie televisive, diversi manga omonimi, un anime e tre film di cui questo è il più recente, tutti con protagoniste belle ragazze in divisa scolastica armate di yo yo. Il primo di questi si intitola スケバン刑事(La Capo Banda Detective), del 1987, diretto da 田中秀夫(Hideo Tanaka), il secondo si intitola スケバン刑事 風間三姉妹の逆襲(Sukeban Deka, Il Contrattacco Delle Sorelle Kazama), del 1988, sempre dello stesso regista, e l'ultimo è quello in questione, del 2006. Lo sceneggiatore 丸山昇一(Shōichi Maruyama) ha preso un pò di libertà nell'adattare il soggetto di Wada, e il film assume dei toni assai diversi da quelli dei precedenti, rendendo pure il titolo quasi inadatto: スケバン(Sukeban) in giapponese vuol dire "ragazza delinquente delle scuole superiori": la nuova Asamiya Saki pur avendo sempre lo yo yo è invece una specie di aborto di agente segreto alla Jason Bourne (per chi ne conoscesse la trilogia...). Si insomma dalla locandina si vede una bella ragazza in divisa che se la tira con uno yo-yo, ho pensato ad un altro di quei film dementi d’avventura con procaci ragazzine come protagoniste, che tra una vicissitudine e l’altra magari mostrano, che so, le mutandine, ma solo pochi secondi. I giapponesi sfornano di questi film a ritmo continuo, molti scadono nel soft porno, e molti non superano la distribuzione nazionale nelle peggiori videoteche di Akihabara.
スケバン刑事 コードネーム=麻宮サキ(Sukeban Deka: Coodo neemu= Asamiya Saki) comincia bene: una ragazza tumefatta da milioni di botte cammina barcollando per le strade di センター街(Center-gai), a 渋谷(Shibuya), con la sua divisa scolastica e sotto la giacchetta color khaki una bella cintura esplosiva con un timer che segna un tempo allarmantemente breve. La ragazza è spacciata, mille telecamere la riprendono (in effetti la quantità di telecamere di sorveglianza a センター街(Center-gai) è allucinante), e dietro di esse c’è il suo carnefice. Proprio mentre si accinge a barcollare per il Shibuya crossing, con un ultimo sforzo allontana i passanti per provocare i danni minori. “Bum” in stop motion. Da un’altra parte chissà dove in un enorme corridoio sotterraneo una squadra di poliziotti scorta una specie di barella tipo “Il silenzio degli Innocenti” con sopra anziché Hannibal Lecter una ragazza (un'irriconoscibile 松浦亜弥-Aya Matsura) dallo sguardo minaccioso completamente legata come fosse un dinosauro. La ragazza è stata catturata a New York, è figlia di una signora Giapponese che è stata catturata nello stesso posto per sospetto spionaggio. Gli agenti e il detective Kira Kazutoshi (un 竹内力(Riki Takeuchi) in splendida forma) faticano non poco per domare la ragazza che mostra una forza incredibile e un addestramento in grado di farle tenere testa a diversi energumeni, e ci riescono solo ricattandola e promettendole di intervenire presso gli USA per il rilascio della madre. La ragazza dovrà infiltrarsi in una scuola superiore e far luce sugli eventi che hanno portato alla morte della ragazza-bomba a Shibuya e dovrà capire a cosa si riferisce il count-down che campeggia nella home page di un sito internet, l’”Enola Gay”, che a quanto pare istiga i giovani alla violenza e al suocidio e insegna a confezionare bombe. Alla ragazza viene data una strana arma, uno yo-yo, una divisa scolastica e un nome, Asamiya Saki. Sembra che l’“Enola Gay” abbia una qualche connessione con la scuola. Saki trova una situazione non rosea nell’istituto, in particolare vi sono episodi di bullismo estremo ed una delle tante persone ad essere presa di mira è Tae Konno. Saki attraverso l’amicizia con Tae riuscirà a sbrogliare una bella matassa di casini fino a trovarsi di fronte a qualcosa di più grande di quello che ci si aspettava.
Tanta carne al fuoco: teen movie con toni cupi e violenti, il tema scottante del bullismo giapponese, hero-movie con ragazzina in divisa, e trama intricata con cattivoni a non finire. Certo l’autore Shinji Wada e gli sceneggiatori che hanno adattato questo racconto non cazzeggiano come gli sceneggiatori di “Boris”, ma ogni tanto mi chiedo se non sia davvero troppo arrivare a questi livelli. Il divertimento certo non manca: 松浦亜弥(Aya Matsura) che interpreta Saki è davvero carina, e di sicuro non fa fatica a riesumare il caratterino imbronciato e saccente mostrato nel film 青の炎(Ao No Honō - La Luce Blu), 2003, diretto da Yukio Ninagawa. Diciamo che in tutto il film interpreta un’eroina che continua a fare una faccia da cattiva assolutamente poco credibile col suo visino angelico: è un po’ impacciata nelle prime ore del suo incarico, la figura di merda nel centro commerciale, quando usa per la prima volta lo yo-yo e memorabile, e solo alla fine, contro il mostro finale diventa tutto ad un tratto incredibilmente esperta della pericolosa arma. Tamarrissima, con la sua divisa alla marinaretta blu scuro, lo yo-yo appeso ad una giarrettera sulla sua candida coscia di scolaretta e l’ombrello rosso entra a scuola, dove tutti hanno una divisa khaki e l’ombrello bianco, come per dire “Ehi sono infiltrata in questa scuola, venitemi a prendere”. I super risvolti umani del suo carattere e il suo passato sfigatissimo la rendono umana e va bene così, se solo non se la tirasse così tanto! Fantastico quando decide di indossare la divisa da combattimento, che fa il verso a quella di Zebraman (2004, di Takashi Miike), ma con il foulard rosso a richiamare la scolaretta.
Ma se si vuole vedere oltre la demenza propria richiesta dall’audience Otaku con la quale i produttori giapponesi devono per forza rapportarsi, questo film ha dei contenuti molto profondi, importanti e coraggiosi: la denuncia del bullismo e la denuncia della pessima abitudine di professori e presidi di infangare la cosa: non avevo mai visto un’esposizione così esplicita del problema in tutta la mia carriera di nippo-cinefilo (Senza contare la più psicologica e claustrofobica visione data da Shunji Iwai in リリイ・シュシュのすべて (Tutto Su Lily Chou-Chou).
Nelle scuole giapponesi, quelle vere, con il campo sportivo che si trasforma in una palude in primavera quando piove, non arriverà mai una Asamiya Saki con le coscie all’aria per salvare tutti: le ragazze continueranno a chiudersi in bagno per tagliarsi le vene, i ragazzi si chiuderanno in casa per non uscirne, i perseguitati saranno vittime eterne della loro debolezza e i persecutori saranno vittime eterne di essi stessi, in una spirale che finirà con il diploma, per cedere il posto all’incubo successivo in una società estremamente omertosa, non compiacente ma imbarazzata nel constatare che la vita va così e basta, e non si può cambiare. Chiunque o quasi (Shiho sembra essere fin’ora l’unica che ho conosciuto a non avere avuto esperienza di bullismo a scuola) è stato vittima, o persecutore, la via di mezzo è solo il silenzio, perché farsi notare, come vittima, persecutore, spione, attivista, brutto, bello, bravo, non bravo, o come uno che dà nell’occhio, significa uscire dall’anonima massa silenziosa e laboriosa ed esporsi come camminare nudi in mezzo alla strada. Il Giappone non perdona chi esce dalla massa e chi si comporta in maniera diversa da come ci si dovrebbe comportare. La redenzione può arrivare solo passando al livello successivo della vita settoriale dell’individio giapponese: dalla giovinezza alla fase adulta, dalla scuola all’università, dall’università al lavoro. Spero che un giorno possa esistere una fine a questo inferno. Questo è uno dei motivi per i quali i Giapponesi odiano il Giappone, e vogliono solo fuggire.
Se visto da questo lato, スケバン刑事 コードネーム=麻宮サキ (La capo-banda detective. Nome in codice: Asamiya Saki) è un film delicatissimo ed estremamente attento alla problematica. È impossibile non affezionarsi al personaggio di Tae Konno e il film per fortuna non infierisce, infatti almeno qui non muore nessuno!

A tutti coloro che sognano di avere una fidanzata giapponese: guardate questo film, realizzate che il Giappone è un inferno per i meno forti, e salvate questi angeli: portateli via di lì!
スケバン刑事 コードネーム=麻宮サキ (La capo-banda detective. Nome in codice: Asamiya Saki) è un film esagerato, tamarro, otaku, ma anche divertente ed interessante, e in qualche modo coraggioso, e agli sceneggiatori va il merito di aver aggiornato ad oggi le tematiche giovanili che ne interessano i protagonisti che rimangono forse l'unica parte realistica di questo lavoro.

UPDATE: E per la gioia dei suoi fan ecco Riki "belli capelli" Takeuchi in una scena del film...


スケバン刑事 コードネーム=麻宮サキ (Sukeban Deka: Koodo Neemu= Asamiya Saki - La capo-banda detective. Nome in codice: Asamiya Saki)

Giappone, 2006 - regia di 深作健太(Kenta Fukasaku)

giovedì 16 ottobre 2008

金融破滅ニッポン 桃源郷の人々 (Il Giappone in rovina finanziaria: gli abitanti di Utopia)

Ad Osaka, nelle rive di uno dei mega fiumi che attraversano la città sfociando nel mare interno, c'è un villaggio di senzatetto, come tanti, chiamato Utopia. Una notte un camion si ferma sull'argine e comincia a riversare rifiuti sul terreno del villaggio. Gli abitanti del villaggio non riescono a farsi valere nei confronti dei violenti addetti che conducono il camion, se non fosse per l'intervento di un uomo arrivato dal nulla, che finge di essere un poliziotto pur non essendo intenzionato a farlo, e caccia via i violenti. Gli abitanti del villaggio festosi chiamano il capo-villaggio (interpretato da Sho Aikawa), e accolgono il nuovo arrivato, Kuwata, che si stabilisce tra loro. Intanto da qualche parte in città, una tipografia è sull'orlo del fallimento a causa del fallimento di una delle sue principali aziende clienti, e il suo proprietario signor Umemoto (Yuu Tokui) non trova altra strada che il suicidio. Una fortuita circostanza, cioè una piccola guerra yakuza tra il villaggio e una scapestrata banda di yakuza in scooter porta Umemoto a conoscere il villaggio. Il capo villaggio e Kuwata, che sembrano avere più di una qualità nascosta e un passato ancora più nascosto, decidono di aiutare Umemoto a riavviare la tipografia attraverso un'operazione non proprio legale.
Anche il Giappone non è esente da problemi di questo tipo, e pur nonostante la comune pratica di scuse pubbliche diretta televisiva (fanno persino il replay degli inchini) ci sono i fallimenti, e gli imbroglioni (anche se l'Italia è ai primi posti nel mondo..). L'aspetto più importante da mettere in risalto per spiegare questo film è che in Giappone il fallimento finanziario è una cosa gravissima, non necessariamente per le conseguenze implicite, ma per l'immagine personale di chi vi è coinvolto, della sua famiglia e dell'azienda. Ecco perchè Umemoto è talmente disperato da suicidarsi, e pensare che in Italia il fallimento è una pratica normale per far quattrini. In giappone se fallisci metti nella merda la tua famiglia, i tuoi figli e le generazioni a venire che portano il tuo cognome, questo si traduce nell'impossibilità di accendere mutui o richiedere prestiti, di aprire un'impresa o una qualsiasi attività ecc.
Miike con questo film vuole provocatoriamente comunicare l'ottimismo, ma un'ottimismo beffardamente possibile solo pensando ad una truffa che possa mettere di nuovo apposto le cose. Di certo Osaka e l'allegria e diversità dei suoi abitanti sono i soggetti più adatti, in Giappone, per provare ottimismo, difficilmente vedrei questo film ambientato a Tokyo. E soprattutto nel Giappone odierno l'ottimismo, il poter vivere felici senza denaro in un accampamento fatto di rottami, il poter riuscire a risanare i debiti, il poter ricostruire qualcosa, sono solo Utopia, come il nome del villaggio.

金融破滅ニッポン 桃源郷の人々 (Kinyû hametsu Nippon: Tōgenkyō no hito-bito - Il Giappone in rovina finanziaria: gli abitanti di Utopia)

Giappone, 2002 - regia di Takashi Miike

domenica 12 ottobre 2008

手紙 (Tegami)

Ero nella cabina di una nave che da Cagliari mi portava a Civitavecchia. Avevo con me il computer, i miei film giapponesi in attesa di essere guardati, e un sacco di tempo a disposizione. Così ho scelto Tegami: apprezzato dalla maggior parte delle critiche che ho letto a riguardo, non mi ha mai interessato eccessivamente, si annunciava un "polpettone" da lacrime, e così mille volte avevo deciso di rimandare.
Naotaka Takeshima, detto "Nao" vive la sua dura vita di operaio in una fabbrica persa chissà dove in Giappone. E' silenzioso e non parla con nessuno. Nella testa ha solo il suo passato terribilmente duro: orfano sin da piccolo, fu mantenuto dal fratello maggiore Takashi con sforzi immani. Dopo un infortunio, Takashi non fu più in grado di lavorare e preso dalla disperazione cominciò a compiere piccoli furti in appartamento. Durante uno di questi, viene scoperto dalla padrona di casa che presa dal panico urla, Takashi chiede scusa, chiede perdono ma l'anziana signora continua ad urlare e lo attacca con delle forbici. Durante la collutazione la signora rimane accidentalmente colpita dall'arma impropria che maldestramente brandisce e muore. Takashi viene arrestato e condannato per omicidio.
Nao sa che il suo passato deve rimanere segreto, assolutamente segreto. Non parla con nessuno in fabbrica e rimane schivo anche nei confronti di Yumiko, l'addetta alla mensa che gli si affeziona e gli fa una discreta corte. Nao scambia una regolare corrispondenza epistolare con Takashi, che dalla prigione scrive e scrive e scrive. Un giorno una di queste lettere viene scoperta dai colleghi di Nao. E' la fine. Il Giappone no perdona il passato di chi sbaglia, e purtroppo non lo perdona neanche ai suoi familiari, per generazioni.
Nao è appassionato di cabaret, assieme ad un amico durante le pause prova degli sketch. Nao lascia tutto, parte per Tokyo, la grande città che attira e poi ingoia i sogni di chi vi ci si affida per migliorare la propria vita. Nao comincia a lavorare in un bar, e fa qualche spettacolo dove viene scoperto. E' l'occasione giusta, va in TV. Dimentica la giovane Yumiko, l'addetta della mensa della fabbrica, e si lega ad Asami, di buona famiglia, eccezionali risorse finanziarie e ferrei valori. Il passato di Nao ritornerà, più e più volte, infliggendogli delle batoste veramente insostenibili.
Tegami è un bel film, nulla di speciale dal punto di vista fotografico, la trama è lineare, la produzione è importante e la presenza di attori come Takayuki "nano malefico" Yamada (già visto in plurimi film della Toho come タッチ(Tacchi - Touch) e そのときは彼によろしく(Sono Toki Wa Kare Ni Yoroshiku - Say Hallo For Me) e fantastico co-protagonista di Crows Zero di Miike) e di Erika "la sdentata" Sawajiri (che dovrebbe essere tornata dall'esilio inglese impostole dal cinema giapponese dopo l'ennesima stronzata da star capricciosa) lo rendono idoneo per diventare un blockbuster in Giappone, ma oltre questo niente da dire, se non rimarcare l'assoluta importanza concettuale e di denuncia sociale.
A tutti quelli che mi dicono di voler andare a vivere in Giappone, io consiglio sempre di cercare di conoscerlo meglio, perchè il Giappone non è meglio di altri paesi, pur avendo dei pregi. Ho sempre sostenuto che per i Giapponesi, il Giappone sia "l'inferno", e questo film è un altro mattone per rinforzare la mia tesi. Il Giappone è un posto dove si paga non solo in prima persona per i crimini commessi, ma gli stessi atti criminali condannano inesorabilmente i parenti, i figli, i figli dei figli. Se fallisci, i tuoi figli e i loro figli per alcune generazioni non portanno avere un prestito in banca, se un tuo parente fa qualcosa di male, perdi il lavoro, e tuo figlio viene picchiato a sangue dai compagni di scuola. Il giappone è un posto dove non si può neanche concepire il commettere un crimine, non solo per la durezza, l'iniquità del sistema giudiziario, ma anche per la stessa società che vede non solo nell'individuo colpevole ma anche nella sua famiglia la colpevolezza come male purulento da schifare e allontanare. Per questo in Giappone non ci sono crimini, e i pochi (molto pochi) che vengono commessi vengono puniti in maniera estremamente severa, fino alla pena di morte per impiccagione. Il Giappone davvero non perdona, specialmente i deboli, anche solo per un cognome malfamato. Da vedere per chiunque ami il giappone, e si vuole togliere il sushi dagli occhi.
手紙(Tegami)
Giappone, 2006 - regia di Jiro Shono

venerdì 10 ottobre 2008

スキヤキ・ウエスタン ジャンゴ (Sukiyaki Western Django)

In una terra desertica spazzata dal vento e coperta dalla polvere, la lotta tra due fazioni rivali, i bianchi ed i rossi, arriva ad un culmine risolutivo con l'arrivo di un personaggio che al solo impugnare una pistola è in grado di mettere timore al più cattivo. Penso che non ci cia altro da dire per quanto riguarda la trama....
Ma questo ci mancava proprio, la reinvenzione/interpretazione in salsa Giapponese dello "spaghetti western", che era nient'altro che una reinvenzione in salsa Italiana del western Americano. potremo chiamarlo "soba western", o come ci suggerisce il titolo, "sukiyaki western" (sia la soba che il sukiyaki sono roba da mangiare giapponese..), ma comunque di sicuro c'è che questo film è una cosa estremamente malata e dannatamente divertente. Se poi nel prologo c'è Quentin Tarantino che recita delle battute in inglese ma con accento giapponese, nel tramonto finto di un cartellone dipinto alla meglio posizionato dietro la scena, ben non si piuò che gridare al capolavoro. Si perchè questo è il settantaduesimo film del genio prolifico Takashi Miike, il quale, mentre che noi si aspettava l'uscita in home video di suddetto film, ne ha fatti altri 5 (tra cui un altro capolavoro da lacrime agli occhi che si chiama Crows Zero, presentato al FEFF10). E vi assicuro, la fantasia non gli è proprio passata!
Il film è girato in una fittizia ambientazione western, ma con architetture giapponesi, compreso un torii all'ingresso della città con appesi un paio di cadaveri impiccati. I protagonisti mangiano soba, dormono sui futon, siedono su tatami e portano un abbigliamento bizzarramente improbabile, e pur avendo nomi giapponesi vanno a cavallo, sputano per terra (donne comprese), e si ammazzano a colpi di pistola. La vera genialità a mio parere è stata nel girare le scene facendo recitare tutti gli attori in inglese. Non penso che la maggior parte di loro conosca l'inglese, visto che le battute sono pronunciate cone se fossero state imparate a memoria dopo innumerevoli ripetizioni, e poi la stessa pronuncia di alcuni vocaboli dà l'idea di una completa ignoranza dell'attore di quello che sta dicendo! Che dire, un bellissima autoironia dei giapponesi che vogliono per forza occidentalizzarsi ma che fanno ben poca strada, limitati come sono dalla lobotomia cerebrale alla quale sono stati sottoposti durante il loro periodo di crescita nel bel paese del sol levante. L'irrinunciabile impronta violenta e il sangue a spruzzi, pur essendoci non sono eccessivi, anzi diciamo che sono abbastanza rari, e qui Miike sapientemente non reitera il vortice di ripetitività e di scontata noiosità nel quale era caduta una certa cinematografia giapponese che lo stesso Tarantino, profondo estimatore del cinema giapponese, ha ironicamente caricato e stigmatizzato in Kill Bill. Un film assolutamente poco impegnato, che però pur nella scontatezza e nella inconcludenza delle battute pronunciate in un inglese scolastico non rinuncia ad una certa profondita data soprattutto dalla bravura degli attori protagonisti, soprattutto delle donne. Quando si parla di Miike, credetemi, si va sempre (o quasi) sul sicuro.

スキヤキ・ウエスタン ジャンゴ (Sukiyaki Western Django)
Giappone, 2007 - regia di Takashi Miike