Tokyo é uno degli agglomerati urbani piú grandi al mondo, e con i suoi sobborghi, a loro volta grandi come immense metropoli, non fatica a superare i trenta milioni di abitanti. La capitale della tecnologia, la capitale delle stranezze, la capitale di quei "contrasti" così affascinanti per un turismo "di nicchia", quello dei bellimbusti che "andare a mangiare il sushi fa figo" e quindi vanno in Giappone per fare ancora più figo (e si riscoprono, ad insaputa della vasta audience post-vacanza amanti del Mc.Donalds che forse è linguisticamente meno ostico), oppure quello dei fissati dei fumetti o degli anime Giapponesi, che ne fanno meta di pellegrinaggio. Tokyo (cosiccome d'altronde accade per tutto il Giappone in generale) vista dagli occhi del gaijin superficiale, del giornalista di viaggi o del promotore di viaggi organizzati é la "metropoli dei contrasti", un luogo dove la tecnologia piú avanzata convive con la piú severa tradizione, un luogo dove quartieri di grattacieli di mirabile altezza sono affiancati da complessi sacri dove regnano il silenzio e il religioso raccoglimento, e da quartieri a luci rosse dove ci si può anche solo idealmente affacciare alle piú depravate pratiche sessuali...
Ma quei "contrasti" tanto chic e di tendenza, sono tali solo per quelle tante persone che non conoscono abbastanza la societá Giapponese nella sua interezza e nella sua complessitá: quelle tante persone cresciute ad esempio in quel mondo cattolicizzato che porta a considerare "la diversitá" o "l'alternativa" come la solita babele di poveracci da compatire e salvare con eserciti di evangelizzazione; o i soliti furbetti tanto endemici nel nostro paese che passano sempre il post-vacanza nipponico a deridere coloro che danno la vita per il lavoro o che sono ligi al rispetto delle regole anche se si tratta di rispettare una dannata fila davanti alla porta della metro; gli acculturati da rotocalco settimanale pietosi nel compatire una società ormai famosa in particolare per i suicidi, o per una classe adolescenziale afflitta da immani problemi esistenziali (come se i nostri adolescenti fossero sani di mente...), o per una classe lavorativa considerata dai piú come ridotta in schiavitú da un sistema moralmente totalitario; o al massimo da visitare in un bel tour che non manchi di includere Tokyo, Kyoto, geishe, sushi e stronzate a non finire.
Ma perché tale polemico preambolo alla recensione di questo film?
Perché la visione di questo film é altamente consigliata per cominciare ad aprire gli occhi sulla societá Giapponese senza comunque impegnarsi troppo in analisi psico-sociologiche, ma cominciando a conoscere i Giapponesi non piú come extraterrestri ma come "uomini", nostri simili, semplicemente spegnendo quell'enorme sfavillante videogioco elettrico che é Tokyo, e vedere com'é fatto dentro.
É la vigilia di Natale, un uomo d'affari mente a sua moglie per incontrare la sua amante in un lussuoso albergo di Odaiba; un barista aspetta dentro al suo bar deserto il passare della notte prima della chiusura dell'attivitá; un ex carcerato cerca la sua ex fidanzata; una modella siede sul corniciome di un ospedale cercando il coraggio di suicidarsi; un vecchio aspetta la morte in ospedale; un ragazzino appassionato di satelliti osserva il cielo; una coppia di anziani vive in armonia il focolare domestico. Accade l'incredibile: una specie di meteorite si abbatte su una centrale elettrica e Tokyo si spegne.
Chiunque abbia vissuto Tokyo non potrebbe mai immaginarla senza elettricitá, ma paradossalmente proprio spegnendola é possibile vedere il suo vero cuore. Gli "extraterrestri" si tolgono le maschere da extraterrestri e cominciano a fare gli uomini, i problemi sono sempre gli stessi, come lo sono per noi, e il vederli attraverso degli occhi a mandorla non li rende meno dolorosi da vivere ed affrontare.
Si ama, si odia, si sbaglia, si tradisce, si scappa, si ha paura, si aspetta, si ruba, si gioisce... insomma si vive.
Il buio costringe la pupilla a dilatarsi e alla fine si vede pure meglio. E quella che mi piace definire "la cittá illuminata non da stelle naturali, ma da galassie elettriche", riesce di nuovo, incredibilmente a liberarsi di quell'aura di inquinamento luminoso e a "riveder le stelle", quelle vere.
Tralasciando l'ottima valenza didattica per i conoscitori superficiali di Giappone e Giapponesi, il film é un ottimo intreccio comunque giá visto di storie separate tra loro ma connesse indissolubilmente l'una all'altra, peccato per l'eccessiva lunghezza e ridondanza: con qualche limatura e qualche ripensamento in sede di montaggio perderei la voglia di definire questa pellicola, nonostante la passerella non trascurabile di star e le loro come sempre ottime prove recitative, "un'occasione sprecata".
大停電の夜に (Daiteiden No Yoru Ni - Il blackout notturno), titolo inglese "Until The Lights Come Back"
Giappone, 2005 - regia di Takashi Minamoto
2 commenti:
Comporre un equilibrato film corale non è semplice e pur apprezzando il tentativo, Until the Lights Come Back non riesce a crearlo questo equilibri lasciando alcune storie (secondo me le più interessanti) troppo abbandonate a se stesse. Peccato eprchè all' inizio prometteva molto bene!!!
>Cuggino> A me ispirava troppo la storia della modella e del ragazzino!
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