venerdì 31 dicembre 2010

アウトレイジ (Outrage)

Ed ecco l'ultimo film di Takeshi Kitano. Ed ecco il primo film di Takeshi Kitano che recensisco nonostante li abbia visti già tutti.
Il boss della più grande associazione mafiosa del Kanto, Sekiuchi, convoca un summit di tutte le cosche affiliate. Attraverso il suo luogotenente Kato e uno dei suoi più fedeli seguaci, Ikemoto, intende rimettere in riga una cosca indipendente, i Murase, colpevoli di disturbare i traffici della grande organizzazione. Il capo, per l'appunto il signor Murase, ha stipulato in passato un patto di sangue in carcere con lo stesso Ikemoto, il quale si trova molto in difficoltà a mettere in pratica personalmente l'ordine del grande capo e si rivolge a sua volta ad uno dei suoi affiliati minori, Otomo, a capo di una banda molto violenta. Otomo (interpretato da Takeshi Kitano che appare sullo schermo con il suo solito soprannome d'arte "Beat Takeshi") e i suoi eseguono gli ordini senza battere ciglio e con la loro solita cinica violenza: Ikemoto intanto agisce nell'ombra, da un lato istigando e commissionando le violenze e dall'altra fingendosi non responsabile di tali misfatti
agli occhi del boss Murase. Sekiuchi intanto dall'alto continua a muovere i fili delle sue marionette a loro stessa insaputa commissionando omicidi ed azioni atte a portare il caos nel panorama mafioso dell'intera zona, con lo scopo di portare le cosche minori all'auto distruzione. Si scatena così una guerra senza esclusione di colpi.
Finito il periodo di crisi artistica, padre di una controversa trilogia cinematografica introspettiva e sperimentale, Kitano ritorna nella scena (iscrivendosi in concorso a Cannes, cosa che non accadeva dal 1999, quando presentò 菊次郎の夏(Kikujirō no natsu), titolo Italiano "L'Estate Di Kikujiro") muovendosi agevolmente in un genere a lui caro e nella realizzazione del quale dichiara di avere del talento: il genere Yakuza.
Kitano gira e monta personalmente un film concitato ma dall'incedere un pò incerto, lasciando quà e là la sua impronta, come la macabra comicità di alcune scene, e la ghiotta fantasia del far morire i suoi personaggi nelle maniere davvero più disparate
Ma se vi aspettate il solito film di Yakuza, quello dei valori medioevali, dell'onore e della fratellanza, delle vite distrutte di giovani eroi gangster rimarrete a bocca asciutta: per Kitano oramai la Yakuza è diventata un'associazione d'affari guidata a boss vili e senza scrupoli, traditori e bugiardi generali di piccole armate di giovani destinati ad essere carne da macello. E' un gioco allo sterminio ed il destino degli sfortunati giocatori di questa partita è quello di soccombere, per venire sostituiti solo da altri sfigati che faranno la stessa fine, oppure di salvare la pelle facendosi arrestare proprio quando l'avversario li sta per sterminare. Il tutto sotto gli occhi di poliziotti corrotti e conniventi che come arbitri dettano le regole del gioco, chiaramente piegate a favore di chi paga di più.
Manca come l'aria l'impronta di Joe Hisaishi nella colonna sonora, sostituito da Keiichi Suzuki, già autore delle musiche di Zatoichi, sempre di Kitano, del 2003.
アウトレイジ (Autoreiji - Outrage)
Giappone, 2010. Regia di Takeshi Kitano

mercoledì 22 dicembre 2010

紅の豚 (Il Maiale Cremisi) - Porco Rosso

Chissà perchè ho visto tutti i film di Miyazaki e non ne ho mai recensito neanche uno, proprio come è successo per i film di Kitano, visti tutti e mai recensiti. Forse, la spiegazione a questa mia mancanza sta nel fatto che i film di Miyazaki sono talmente incredibili che ogni parola scritta a loro riguardo può solo scolorirne la magia. Ma vorrei pur cominciare a scrivere di questi film e non c'è momento migliore di questo, a caldo e a poche ore dall'uscita della piccolissima e squallidissima sala del cinema d'essai che ha avuto la decenza di comprare una copia di questa pellicola e proiettarla per diverse settimane, a discapito della penosa distribuzione della Lucky Red che chissà come questa volta si è [quasi] dimenticata della Sardegna.

Siamo alla fine degli anni '20. In un'Italia immaginaria (ma neanche tanto), un misterioso pilota di idrovolanti da caccia si guadagna da vivere come cacciatore di taglie imperversando nella zona dell'Adriatico settentrionale. Il suo nome è Marco Pagot, soprannominato Porco Rosso: "Porco" perchè ha le sembianze di un maiale antropomorfo, "Rosso" perchè il suo aereo è di colore rosso cremisi. I cosiddetti Pirati Dell'Aria, cui il maiale dà continuamente la caccia rifilando loro sonore batoste si uniscono in una lega e assoldano un pilota americano, tale Donald Curtis, dotato di ottime capacità di pilotaggio e di un aereo estremamente agile e potente per farlo fuori. Il maiale volante, con l'aiuto di una giovanissima ragazza e di un'intera comunità di artigiani aeronautici, di un'avvenente cantante di cabaret nonchè di insospettabili compagni d'ala fascisti ingaggerà con l'americano una lotta fino all'ultimo colpo.

Punti metallici rilucenti i raggi solari volano tra le plumbee cattedrali di vapore lì su nel cielo, e lì sotto il mare, una distesa amica dove solo gli idrovolanti possono atterrare e che concede ai piloti degli stessi qualche grattacapo in meno in fatto di pianificazione di consumo carburante, e in caso sia necessario trovare un campo d'emergenza per un atterraggio di fortuna. Una distesa blu costellata di isole, golfi e paesaggi da mozzare il fiato. Siete pronti ad immergervi nell'ennesimo paradiso made in Ghibli? E chi non sognerebbe di immedesimarsi in Marco Pagot, libero come un'aquila ed affascinante come una blasonata star di Hollywood, se pur con quella sgradevole faccia da maiale. Ma le donne dalla Dalmazia all'Istria non se ne curano, è lui la superstar dei cieli, mietitore di pirati e di cuori. Chi non sognerebbe di attraccare col proprio idrocaccia da corsa nel molo di un'elegante isoletta della costa Dalmata in una sera di mezz'estate, solo per andare a prendere un drink in un lussuoso albergo? Chi non sognerebbe di vivere un'avventura così incredibile?

Sono chiare le idee di Miyazaki in fatto di guerra: La guerra fa schifo e questo lungometraggio è il suo ennesimo messaggio su questa frequenza. "Meglio maiale che Fascista", sentenzia Pagot parlando in segreto con un suo vecchio compagno d'ala, ora alto ufficiale della "Regia Aeronautica", quel dannato e ridicolo epiteto usato sovente per dare un gusto meno schifoso ad una bocca che deve pronunciare "Aeronautica Fascista". Non si fa scrupoli il Maestro a dipingere un Fascismo ladro e stupidamente autarchico, in un'epoca d'incertezze in cui una bottiglia d'olio era preziosa merce di scambio. Sono chiare le idee di Miyazaki in fatto di non violenza: Pagot è un eroe romantico che se non è sicuro di lasciare il suo avversario perfettamente incolume, non spara un colpo della sua letale mitragliatrice.

"Un maiale che non vola è solo un maiale". "Un maiale che vola è pur sempre un maiale". Il Pagot non si cruccia più di tanto del suo aspetto frutto di una misteriosa maledizione arrivata dopo essere scampato non si sa come da una carneficina aerea durante la grande guerra: sembra quasi che rifiuti l'umanità e la sua violenta e nauseante idiozia, ed è terribilmente bella e toccante quella sequenza in cui Miyazaki riesce a mostrare la vera spettrale insensatezza della guerra. Da triplo nodo alla gola e da antologia del cinema.

E anche in questo film c'è la completa rinuncia del maestro alla netta separazione tra bene e male, perchè nel mondo tutto ciò che vive è bene, e guardando gli occhi di una bella ragazzina di diciassette anni si scopre che questa schifosa umanità non è poi da buttare via, parole del maiale, mica scemo. I nemici nei film di Miyazaki hanno sempre un gran cuore, e dopo lo scontro finale scattano una foto con chi li ha battuti; i "cattivi" nei film di Miyazaki sono "così cattivi" che anche dopo anni dalla batosta presa dal buono di turno tengono con lui una corrispondenza epistolare. Quando ci si immerge in un paradiso creato dal maestro, si pensa sempre che ci si vorrebbe proprio stare, in quel posto, e si rimane a bocca aperta dall'inizio alla fine della storia, e con un magone in gola, perchè in qualsiasi modo vadano le cose, va sempre tutto alla grande.

Lati oscuri del film? Forse uno. Anche in questo, come in altri film di Miyazaki una delle protagoniste è una giovanissima ragazza: Fio, la nipote del proprietario della ditta Piccolo S.p.A. La differenza rispetto agli altri lavori del regista sta nel fatto che in questo caso le attenzioni e le fantasie dei personaggi comprimari e secondari verso la ragazzina sono spesso di tipo anche non troppo velatamente sessuale. Il carisma di Fio nei confronti della truppa dei Pirati Dell'Aria deriva non tanto dalla sua intelligenza e determinazione, che sono cristallizzate nello svolgimento dei fatti, ma come conseguenza della puberale avvenenza del suo aspetto fisico, tanto da far diventare la ragazza nelle scene finali addirittura un "trofeo di combattimento". I più maliziosi hanno visto poi nella fusoliera dell'idrovolante smontata e posizionata sul camion nell'officina tanto ammirata ed esaminata con cura dalla stessa ragazza un gigantesco simbolo fallico, ma se possiamo classificare quest'ultima constatazione come deviata psicologia spicciola del subliminale, c'è da porre attenzione sul come più volte l'anziano titolare dell'officina avverta il Pagot di "tenere giù le mani" dalla ragazza, avendo notato un particolare interesse dell'uomo nei suoi confronti, interesse che dura per tutto il film addirittura oscurando le attenzioni del protagonista verso una persona importante come la donna dello stesso pilota, la cantante Madame Gina, anagraficamente più vecchia della ragazza. Non posso certo svelare il nebbioso finale del film ma posso dire che proprio la ragazzina sarà in grado, come nessuno ha mai fatto, di segnare un solco nel destino del Pagot. Penso che qui più che in ogni altro film di Miyazaki emerga, magari involontariamente (ma anche no) quell'isterico feticismo per la giovinezza e per le ragazzine minorenni di cui sia la società Giapponese che media Giapponesi sono noiosamente ricolmi.

Il maestro Hayao Miyazaki è un grande appassionato di aerei. Ogni sua opera cinematografica contiene numerosi richiami al volo, alla tecnica aeronautica ed aerospaziale e le animazioni dei mezzi volanti da lui creati e riportati nello schermo sono a volte vere e proprie lezioni di aerotecnica (guardatevi ad esempio la sigla finale di
魔女の宅急便(Majo no takkyūbin - Kiki's Delivery Service) del 1989: qualdo l'aereo a pedali pilotato da Tonbo rischia di toccare il suolo a causa di un assetto picchiato, la protagonista che lo segue a cavalcioni di una scopa volante dà un calcio verso il basso nella parte posteriore dell'aeromobile, in corrispondenza dello stabilizzatore orizzontale, dando all'aereo un momento cabrante sufficiente a fargli riprendere quota). E se tutti i suoi film sono un continuo omaggio al volo, "Porco Rosso" è l'apoteosi della passione aeronautica del maestro dell'animazione Giapponese.

E come fanno tutti i Giapponesi appassionati di qualcosa, anche Miyazaki dimostra di essere maniaco della sua passione. Avete mai sentito parlare della Coppa Schneider? Sicuramente no: era una competizione per idrovolanti da corsa che fu istituita nel 1911. Il film è ambientato in quell'epoca a cavallo delle due guerre, un'epoca d'oro per lo sviluppo aeronautico: furono infatti i prototipi iscritti a questa competizione che introdussero importanti innovazioni nella tecnica aeronautica, come i motori raffreddati a liquido, le fusoliere aerodinamiche, e il famosissimo motore Rolls Royce Merlin, installato sui prototipi vincitori delle ultime due edizioni della coppa e successivamente dominatore incontrastato nei duelli aerei dei cieli di mezza europa e del pacifico.

Innumerevoli sono i riferimenti alla storia aeronautica citati in questo lungometraggio. Ne cito alcuni (alcune delle seguenti info provengono da Wikipedia):

- Il primo pilota dei due caccia appartenenti alla grande nave da crociera assaltata dai Pirati Dell'Aria è Francesco Baracca, che è realmente stato un grande aviatore italiano nella prima guerra mondiale a cui sono dedicati aeroclub e strade.
- Il secondo è Adriano Visconti, asso della seconda guerra mondiale con dieci vittorie al suo attivo.
- Uno dei personaggi della storia è un aviatore ex commilitone di Porco Rosso di nome Ferrarin. Un aviatore di nome Arturo Ferrarin è realmente esistito e nel 1920 ha coperto per la prima volta il percorso aereo Roma-Tokyo assieme a Guido Masiero. Ferrarin ha effettivamente pilotato, nella Coppa Schneider del 1926, l' idrovolante da corsa Macchi MC39 con cui lo si vede in una scena affiancare il velivolo di Porco Rosso. Altri invece ritengono che il nome Ferrarin del personaggio sia un omaggio a Carlo Ferrarin, disegnatore e progettista della fabbrica di aeromobili Caproni , progettista del Caproni C-22J, un aeromobile a getto estremamente simile proprio al velivolo pilotato da Fio in una delle scene finali del film, durante un sorvolo in tempi moderni dell'isola dell'albergo più volte vista nel film.
- Uno dei compagni di stormo di Marco Pagot/Porco Rosso ai tempi della Grande Guerra si chiama Bellini: si ritiene che sia un omaggio al tenente Stanislao Bellini, test pilot del Macchi-Castoldi M.C.72, morto durante un volo di messa a punto di tale prototipo.
- Quando Porco Rosso ripara il suo aereo lo porta dal costruttore dello stesso, la "Piccolo S.p.A.", il cui titolare gli propone un nuovo motore (un FIAT A.S.2, vincitore della Coppa Schneider del 1926, vinta dall'italiano Mario De Bernardi) sui cui compare la scritta "
Ghibli", soprannome del bimotore multiruolo della seconda metà degli anni trenta Caproni Ca.309. Il nome dello studio cinematografico fondato dal regista (Studio Ghibli) è infatti anche un tributo alla passione di Miyazaki per la storia dell'aeronautica.
- Benché l'iconografia ed il merchandising posteriore al film lo identifichino come SIAI S.21 (citato anche erroneamente come Savoia S.21 o Savoia-Marchetti S.21), Porco Rosso pilota un idrovolante di fantasia ispirato a due velivoli realmente esistiti: il SIAI S.12/S-13 biplano idrovolante da ricognizione/caccia e il Macchi M.33 monoplano idrovolante da competizione. Il SIAI S.21 è, contrariamente a quello protagonista del film, un biplano.
- "Mamma aiuto", nome di una delle bande di pirati, è una citazione di Mammaiut, soprannome dell'idrovolante CANT Z.501, diventato poi il grido di reparto del 15º Stormo SAR.

Proiettato per la prima volta nel 1992, questo capolavoro di Hayao Miyazaki è stato distribuito per il grande schermo in Italia solo nel novembre del 2010. Era ora.
紅の豚(Kurenai No Buta - Porco Rosso)
Giappone, 1992. Regia di Hayao Miyazaki

lunedì 5 luglio 2010

ハチ公物語 (La Storia Di Hachiko)

Questo film del 1987 era in archivio già da tempo, ma visto il grande clamore generato dall'uscita del film "Hachi", del 2009 diretto da Lasse Hallstrom e interpretato da Richard Gere, ho pensato fosse opportuno recuperarlo.

Ho già parlato di questa storia in questo post del blog nicolaingiappone, ripropongo qui un pezzo di quel post. "ハチ公(Hachikō) era un bellissimo esemplare di razza 秋田(Akita), apparteneva ad un importante professore universitario di nome 上野英三郎(Ueno Hidesaburō) che nel 1924 venne trasferito al dipartimento di agricoltura dell'università di Tokyo. Hachiko era solito accompagnare il suo padrone tutte le mattine alla stazione di Shibuya, e lì aspettava fino a sera quando il professor Ueno tornava, per accoglierlo festosamente. Il professor Ueno morì un anno dopo, nel 1925. Hachiko, dopo la morte del padrone, continuò a raggiungere la stazione tutte le mattine, e ad aspettare il suo padrone fino a sera, ogni singolo giorno dell'anno. Quattro anni dopo, nel 1928, venne nominato un nuovo capostazione, che accortosi del fedele inquilino, gli permise di girare liberamente per la stazione, e di dormire in un ripostiglio vicino alla sua pensilina. Hachiko non smise mai di rispettare l'orario di partenza e di arrivo del treno utilizzato dal suo padrone. I gestori dei punti di ristoro della stazione cominciarono a nutrirlo, e sebbene molti avessero dubbi sul fatto che fosse lì esclusivamente per il cibo che gli davano, rimaneva il misteriosamente inspiegato il fatto che il cane fosse sul binario sempre alla stessa ora di mattina e di sera. La devozione di Hachiko nei confronti del padrone commosse molte persone, e fu così che venne chiamato 忠犬ハチ公(chūken Hachikō - Il Fedele Hachiko). Nell'aprile 1934 venne eretta in suo onore una statua, fusa dallo scultore Shou Ando, proprio davanti all'ingresso occidentale della stazione di Shibuya, e Hachiko era lì, presente. L'8 marzo 1935 il cane non si presentò all'usuale appuntamento delle 18:00. Morì quel giorno, di una malattia chiamata Filariasi. Dopo la morte del padrone, per 10 anni, non smise mai un giorno di aspettarlo alla stazione di Shibuya. I maggiori giornali di Tokyo ne diedero notizia, vennero celebrati solenni funerali alla presenza delle autorità e Hachiko divenne il maggior esempio citato dai genitori per la buona educazione dei bambini, la sua devozione infatti rispecchia in pieno lo spirito di sacrificio e di devozione del quale dev'essere dotato un buon Giapponese. I resti di Hachiko sono conservati in stato di imbalsamazione nel 国立科学博物館(Kokuritsu Kagaku Hakubutsukan - Museo Nazionale della Scienza) di Ueno, Tokyo" ... "Ogni anno da allora, il 7 marzo, viene celebrata una festa nel piazzale Hachiko, chiamata 忠犬ハチ公まつり(Chūken Hachikō Matsuri - Festa in onore del Devoto Hachiko)".

Il film è abbastanza lento, una sterile trasposizione della vita del cane, raccontata dalla sua nascita alla sua morte. Il professore, la sua vita e la sua morte sono eventi marginali come è giusto che sia, cosiccome sono marginali i personaggi che si avvicendano nella narrazione. A proposito del ritmo: se non amate la lentezza dei film Giapponesi, odierete questo film! Lodevole sterilità estesa anche alle scene commoventi che sono pompate pochissimo, al contrario di come invece dev'essere il film del 2009: progettato per far piangere. Ecco uno dei lati positivi di ハチ公物語(Hachiko Monogatari): è che non strappa lacrime, o quasi.

Non so nulla di come ci si comportasse negli anni '20 in famiglia, ma nella famiglia Ueno, un po' come succede ai giorni nostri, le donne comandano! Il povero professore si deve padroneggiare tra i diktat di una moglie insistente e opprimente e dai capricci di una figlia capricciosa e viziata. Tutto il contrario insomma di quella presunta società maschilista, quella Giapponese, raccontata e supposta da molti. Non ho termini di paragone, parenti o amici Giapponesi in grado di raccontare come effettivamente fosse la vita nel Giappone degli anni '20, ma per alcuni aspetti questa sceneggiatura mi sembra tanto artificiosa e televisiva. Tutto il film poi è girato in set, ovviamente era impossibile riprodurre la stazione di Shibuya di quegli anni, ma alla fine vedere sempre lo stesso tram passare, i muri di cartapesta dei palazzi, fa sembrare l'ambientazione una piccola disneyland.

Il film ebbe un enorme successo ed incassò l'equivalente di 60 milioni di dollari, oltre ad essere premiato in diversi concorsi cinematografici nazionali.

ハチ公物語 (Hachikō Monogatari - La Storia Di Hachiko)

Giappone, 1987 - regia di Seijiro Koyama

mercoledì 23 giugno 2010

アマルフィ 女神の報酬 (Amalfi: La Ricompensa Della Dea)

Toh, un film Giapponese completamente girato in Italia per festeggiare i 50 anni della Fuji TV!

Roma, dicembre 2009, vigilia di Natale: c'è il G8 nella capitale e con l'arrivo dei capi di stato e dei ministri dei paesi più industrializzati del mondo tutte le ambasciate sono in fermento, soprattutto quella Giapponese che attende l'imminente arrivo del ministro degli esteri Wataru Kawagoe, impegnato in una difficile trattativa diplomatica che riguarda degli aiuti umanitari destinati alla solita fittizia repubblica ex-sovietica in guerra civile (topic tanto inflazionato anche nel cinema occidentale per comporre sceneggiature ambientate in scenari di guerra): questa volta la repubblica si chiama "Valcania", e il ministro Kawagoe sarà protagonista di un importante accordo nientemeno che col primo ministro Italiano (per fortuna nel film nessun accenno al Berlusca, neanche una caricatura, niente di niente). La protezione del ministro Giapponese e la gestione delle misure anti-terrorismo sono affidati da Tokyo al super cazzuto tenebroso ed efficientissimo agente esperto nel campo dei cattivoni tale Kosaku Kuroda, interpretato da
un legnoso 織田裕二(Oda Yūji). Principale si fa per dire artefice del casino in ambasciata è la giovanissima e sbadata stagista Masaki Fujii, interpretata dalla bella, giovanissima e famosa 戸田恵梨香(Toda Erika)(la ricorderete come la idol Misa Amane, cattivissima alter-ego di Kira in Death Note, The Last Name e come la dolcissima invidiatissima ragazza del belloccio del drama "Nobuta Wo Produce", Mariko Uehara).

Le cose sembrano andare per il meglio quando proprio la nostra stagista riceve una richiesta d'aiuto da parte di una signora Giapponese, Saeko Yakami, interpretata da
天海祐希(Amami Yūki), che non trova più sua figlia, in viaggio con lei a Roma e in attesa di una importante e delicatissima operazione chirurugica agli occhi. La giovane Masaki chiede aiuto a sua volta ad un importante consigliere dell'ambasciata che decide di affiancarle Kuroda a causa della non eccellente capacità della stagista di parlare l'Italiano. Il nostro Kuroda invece se la cava abbastanza bene in Italiano: la signora Yakami riceve una chiamata dal cellulare della figlioletta e scopre che la stessa è stata rapita: il rapitore parla con Kuroda che si finge il padre della bambina. Entra in gioco la polizia Italiana capitanata da un pesantissimo Rocco Papaleo che dice la sola cosa intelligente di tutto il film: il fatto che Kuroda si sia spacciato per il padre della bambina lo costringerà a stare sempre con la signora Yakami, per non insospettire i rapitori.

La protezione del primo ministro così va a puttane con grande disappunto dell'ambasciata, cosiccome i tentativi di avere contatti coi rapitori che sembrano essere sempre un passo avanti rispetto agli investigatori e pure al nostro super agente. Le indagini porteranno il Kuroda a scoprire un intrigo ben più grave e complesso di un semplice rapimento, e a viaggiare pure ad Amalfi.

Una delle cose più interessanti di questo film è che è recitato per un grande numero di battute in Italiano dai protagonisti Giapponesi che si sforzano alquanto e con un certo successo per avere una buona pronuncia della nostra lingua, e poi ci sono gli attori Italiani capitanati dal nostro Papaleo che purtroppo mostrano quanto schifo faccia il nostro attuale "parco attori". Forse la recitazione più credibile è quella del receptionist dell'hotel in cui alloggia Kuroda, con quel suo naturalissimo accento romanesco, o il passante che manda a quel paese Kuroda che lo urta durante un inseguimento, sempre in romanesco ovviamente.

Per il resto, abbiamo dei rapitori e dei terroristi alquanto amanti delle bellezze del nostro paese e soprattutto di Roma, visto che fanno disperare il povero Kuroda tra Castel Sant'Angelo, Piazza di Spagna e i principali luoghi turistici della capitale, e poi lo fanno andare pure ad Amalfi (non a Torre Del Greco, Potenza o Mazzara Del Vallo, ma ad Amalfi), con alcune scene ambientate alla Reggia di Caserta, etc. Le forzature non mancano, mentre l'unica cosa non enfatizzata è l'idiozia di un pò tutti gli Italiani, soprattutto delle forze dell'ordine (fantastico il cordone umano che alcuni agenti formano davanti all'ambasciata Giapponese per evitare che una piccola folla di poliziotti (Poliziotti!!!) vi penetri in maniera non legittima in quanto zona diplomatica), poi il personaggio interpretato da Papaleo è talmente pesante e idiota che davvero ci si vergogna di essere Italiani.

Per il resto, tanti luoghi comuni anche fuori luogo come il cono gelato (intero) calpestato da Kuroda in Piazza di Spagna (peccato che sia il 24 dicembre), l'immancabile pizza, le griffe dell'alta moda, i richiami continui alla mafia intesa come associazione terroristica e come artefice di rapimenti (non sanno, i Giapponesi, che la mafia sono i colletti bianchi tanto amici dell istituzioni), i maschi Italiani che non fanno altro che rimorchiare (in effetti i maschi Italiani cercano di rimorchiare, ma non nella maniera esageratamente violenta che si vede in una scena del film), e le coppie Italiane che non fanno altro che baciarsi in bocca con la lingua. Fanno impressione le inquadrature delle pagine del quotidiano "Repubblica" con le notizie degli avvenimenti del film e tante mille altre cose a noi familiari riportate sullo schermo con la solita precisione ed accuratezza Giapponesi.

La trama è invece alquanto intrigante, scritta da Yuichi Shinpo e la regia di
西谷弘(Nishitani Hiroshi), già regista di un drama poliziesco-investigativo molto avvincente e complesso come "Galileo", è estremamente brillante. Insomma, due ore non sprecate, soprattutto se volete vedere dei Giapponesi che recitano a Roma e in Italiano!

Ad dimenticavo, la main theme song del film è "Con Te Partirò", ma non è cantata da Bocelli ma con un pesante accento inglese da una cantante inglese, Sarah Brightman (forse Bocelli è oramai troppo importante e caro anche per la Fuji TV?)

アマルフィ 女神の報酬 (Amarufi: Megami No Hoshu - Amalfi: La Ricompensa Della Dea)

Giappone, 2009 - regia di Nishitani Hiroshi

giovedì 22 aprile 2010

全然大丈夫 (Fine, Totally Fine)

Storia di due amici d'infanzia: Teruo, un dodicenne nel corpo di un trentenne, amante dell'horror ed inventore di atroci scherzi, e Hisanobu, brillante impiegato in una ditta di pulizie ospedaliere che fa lo splendido con tutti ma odia la sua vita da sfigato. Prendete qualche settimana delle loro vite, metteteci dentro una ragazza abbastanza strana che ama la pasta di pesce confezionata e che fa perdere loro la testa, e otterrete questa strana commedia. Raccontarne la trama non ha senso perchè non c'è una vera e propria storia, ma ci sono delle scene che renderanno la visione di questo film memorabile! E' un film fatto principalmente di situazioni incredibili...

Divertente, demenziale al punto giusto ma senza arrivare ai livelli osceni di un Satoshi Miki poco ispirato o meglio "mal ispirato", Fine Totally Fine é uno di quei deliziosi affreschi di comicitá cinematografica Giapponese da non perdere. Una cinematografia dai ritmi teatrali della quale forse Kitano é uno dei migliori esponenti: personaggi ai confini della normalitá, o della sanitá mentale che dir si voglia, macchiette quasi surreali ma in realtá specchio satirico di una societá, quella Giapponese, per il nostro comune senso critico da "gaijin" occidentali sempre in bilico tra inconsapevole genio e lucida follia. Adoro follemente perdermi nei lunghi silenzi di queste pellicole: un microcosmo nel quale si può letteralmente vivere per la breve durata del film.

E poi, in quale cinematografia ci si potrebbe mai permettere di mostrare un idiota che lancia una caccola nell'occhio di una signora senza apparire schifosamente demenziali, ma anzi gradevolmente artistici? La moderna cinematografia d'autore Giapponese in rari casi é capace di un'estetica bellissima e particolarissima nella sua elegante sofisticatezza, e di ritmi piacevolmente lenti. Non a caso questa pellicola ha meritato il podio al Far East Film Festival numero 10. Fondamentale notare che il regista Yosuke Fujita è alla sua prima pellicola!! Da seguire senz'altro in futuro!
全然大丈夫 (Zenzen daijoubu - Fine, Totally Fine)
Giappone, 2008 - regia di Fujita Yosuke

sabato 17 aprile 2010

L change the WorLd

Ho un ricordo particolare di questo film, è in assoluto la prima pellicola da me vista al Far East Film Festival: era se non sbaglio il 18 aprile del 2008, primo giorno di festival, primo film proiettato. In sala, il regista 中田秀夫(Nakata Hideo), era a pochi metri da me, che emozione. Sarà la cornice entusiasmante, l'apertura della decima edizione del festival, la presenza del regista e del pubblico, ero estasiato per aver scoperto questo nuovo mondo. Il film in quel contesto "drogato" mi era piaciuto un sacco...
[SPOILER]
Le vicende narrate da questo film si pongono temporalmente alla fine del secondo episodio, デスノート The Last Name (Death Note, The Last Name): Light Yagami è morto e a L rimangono 23 giorni di vita, essendosi auto-condannato a morte per distruggere la trama diabolica di Kira. Un agente della stessa agenzia di L muore contagiato da un virus diabolico in Thailandia. Il virus è stato sviluppato in Giappone da un gruppo di cattivoni. l'ideatore del virus, naturalmente buono fa una brutta fine e spedisce sua figlia da Watari, il maggiordomo di L. L si prenderà cura della bambina e indagherà per distruggere il virus e la banda di cattivoni.
[FINE SPOILER]

Oltre ad essere il mio primo approccio al Far East Film Festival, questo film è stato il mio primissimo approccio alla saga di Death Note. Ho quindi visto questo film senza sapere nulla del quaderno della morte che pure appare in una scena del film, e conoscendo per la prima volta il personaggio di L, interpretato magistralmente da 松山 ケンイチ(Matsuyama Kenichi). L Change The WorLd è una specie di spy story, condita da alcuni elementi interessanti, come la frenesia di sapere che [SPOILER] L morirà presto [SPOILER] con tutti i risvolti del caso.
A parte tutto, pur essendo la storia un pò ridicola in fin dei conti, è il personaggio di L a dar spessore al film, e vale la pena di vederlo solo per lui. Adorabile il suo rapporto coi bambini co-protagonisti.
Interessantissimo anche come "stand-alone movie". Per il resto è solo una macchina da soldi e ha fatto bene il suo dovere in questo senso. Poco importante pure citare i precedenti lavori del regista, famoso per la saga horror リング(Ringu), arrivata da noi con la trasposizione Americana "The Ring", di Gore Verbinski. Qui il buon Nakata ha fatto un prodotto prettamente commerciale, senza alcuna impronta registica di rilievo.

L change the WorLd

Giappone, 2008 - regia di 中田秀夫(Nakata Hideo)

venerdì 19 marzo 2010

デスノート The Last Name (Death Note, The Last Name)

Secondo ed ultimo capitolo.
La famosa idol Misa viene inseguita da un maniaco che la vuole uccidere: il furfante cade a terra privo di vita e vicino a lui appare un Death Note. La ragazza ne ne impossessa e comincia subito a imitare il lavoro del suo grande idolo, Kira, amato da lei come da tantissime altre persone come il salvatore dell'umanitá. L rimane spiazzato da questo avvenimento, non potendo più attribuire a Light, sospettato di essere Kira ed attirato da L a diventare suo stretto collaboratore per dare una svolta alle indaginie quindi la lui stesso marcato a vista, la paternitá degli omicidi. Il nuovo Kira é più infantile e si muove con più imprudenza. Light sa che se si potesse unire al nuovo Kira potrebbe diventare invincibile, anche perché il nuovo arrivato al contrario di lui ha ottenuto la vista dello Shinigami guardiano ed é in grado di uccidere le persone semplicemente guardandole in volto.
I due Kira s'incontrano e le cose si fanno sempre più difficili per L, che dovrá utilizzare tutto il suo ingegno per risolvere il caso e mettere fuori combattimento i due criminali.
Quando ho visto apparire un secondo quaderno della morte e un secondo Shinigami, devo ammettere di aver pensato che stavano rovinando tutto, ma l’intreccio narrativo rimane comunque avvincente pur complicandosi in maniera oscena...
Non ho mai letto il manga e non ho mai visto l'anime: il mio primo approccio con la trasposizione cinematografica della saga é avvenuto nella decima edizione del Far East Film Festi al di Udine, con lo spin off "L change the world", diretto da Hideo Nakata. Non ci capii molto a dire la veritá ma rimasi colpito dal personaggio di L, l'astuto e misterioso investigatore privato che affronta Kira. Le due pellicole della saga erano proiettate nel pomeriggio, prima dell'inizio del festival, e ora capisco il motivo di questo ostracismo: rimettere gli spettatori in linea col filo narrativo che unisce questi due film con il lavoro di Nakata. Molti li definiscono dei film "bruttini", e in effetti é difficile capire se si tratti di un prodotto televisivo o cinematografico: girati in digitale e privi di qualsiasi effetto visivo, esclusa l'animazione degli Shinigami che fa davvero pena.
Vedere questi film di certo non lascia il segno, ma se non avete mai letto il manga lo farete, questo é certo, e soprattutto vorrete guardare il film di Nakata per sapere di più sul personaggio di L, il più riuscito di questa versione per il grande schermo.
デスノート The Last Name (Desu nooto - Death Note), l'ultimo nome
Giappone, 2006 - regia di 金子修介(Kaneko Shūsuke)

martedì 16 marzo 2010

デスノート (Death Note)

Ce li avevo in archivio da tempo, sia questo che il sequel, ma da come se ne parlava in giro non ne ero mai stato particolarmente attirato.
Sará che non amo le cose particolarmente inflazionate: questa ormai estremamente famosa vicenda, nata dalla mente di 大場 つぐみ,(Ōba Tsugumi) si é ormai consumata su vari supporti, sulla carta stampata con il manga in tredici volumi disegnato da 小畑 健,(Obata Takeshi) e pubblicato per la prima volta in Giappone nel 2003 dalla 週刊少年ジャンプ,(Shūkan Shōnen Janpu), sul piccolo schermo e home video con l’anime in 37 episodi diretto da 井上敏樹,(Inoue Toshiki) e trasmesso per la prima volta in Giappone dalla 日本テレビ放送網株式会社,(Nihon Terebi Hōsōmō Kabushiki-gaisha) dal 4 ottobre 2006 al 26 giugno 2007, per finire inevitabilmente al grande schermo in due lungometraggi di successo più uno spin-off.
Questo é il primo dei due film per il grande schermo, fu proiettato per la prima volta in Giappone il 17 giugno 2006 e rimase in vetta alle classifiche del Sol Levante per 2 settimane.
Light, interpretato da 藤原竜也(Fujiwara Tatsuya) è un brillante studente di legge in una rinomata universitá di Tokyo che prova frustrazione per l'impotenza del sistema giudiziario Giapponese che troppe volte lascia crimini impuniti e pericolosi presunti criminali a piede libero per insufficienza di prove o grazie ad insulsi cavilli giudiziari. Il ragazzo spinto da un furioso rimorso e da una forte volontá di riscossa comincia a seguire uno di quelli che l'hanno fatta franca, una specie di teppista omicida, e quando si ritrova faccia a faccia con lui rischia seriamente di farsi male, constatando l'estrema diabolica cattiveria del personaggio. Affranto, scappa sotto la pioggia e come d'incanto dal cielo cade un quaderno nero, attorno al quale misteriosamente non cade alcuna goccia di pioggia. Light prende il quaderno, e legge la prima pagina, una specie di libretto d'istruzioni. É un "Death Note": se le sue pagine magiche vengono utilizzate per scrivere il nome di una persona, questa morirá secondo le modalitá descritte dallo stesso scrivente, o in assenza di istruzioni precise la persona designata passerá all'altro mondo per attacco cardiaco.
Light non ci crede, ma dopo essersi ritrovato di nuovo faccia a faccia con il pericoloso criminale con il quale aveva pochi giorni prima avuto un aspro confronto, si sente costretto a scrivere suo nome nel quaderno per evitare di fare una brutta fine. Il criminale muore all'improvviso per attacco cardiaco. Light scappa sconvolto. In seguito, apparirá al suo cospetto il padrone del quaderno, uno shinigami, un dio della morte col quale costruirá una strana amicizia. Light viene ammaliato da questo potere, e ne comincia ad abusare, in un delirio giustizialista che porta le polizie di tutto il mondo ad indagare su di lui, il misterioso angelo della morte che si fa vedere in vari forum col nome di Kira.
Il primo a cominciare a cavare piede dal mistero sará un famoso quanto misterioso detective privato, “L”, interpretato da 松山ケンイチ(Matsuyama Kenichi), che comincierá con Kira/Light una specie battaglia di menti e d'intuito per tentare di smascherarlo.
Estremamente commerciale, estremamente di successo, é quel puro film d'intrattenimento Giapponese a budget stratosferico senza particolari difetti. La storia é geniale e riesce a tenere sulle spine per tutta la sua durata chiunque vi si avvicini. L é un personaggio dall'immenso carisma, tanto da meritare lo spin-off del quale parlerò in futuro.
Il riuscire a controllare la morte é uno dei sogni ancestrali dell'essere umano, utilizzarla come arma remota poi può essere l'inizio della strada verso il delirio nel quale un debole non può far altro che cadere, facendosi corrompere da un potere che dovrebbe rimanere nelle mani degli dei, troppo grande, forse in generale per qualsiasi essere umano.
Un bel filmetto, ma solo dopo il secondo episodio se ne possono davvero tirare le somme. Ci risentiamo presto...
デスノート(Desu Nōto - Il Quaderno Della Morte)
Giappone, 2006 - regia di 金子修介(Kaneko Shūsuke)

venerdì 4 dicembre 2009

Sweet Rain - 死神の精度 (Dolce Pioggia. L'accuratezza dello spirito della morte)

O "storia dello Shinigami tontazzo". Penso che siano pochi i nippofili che non hanno una minima idea di cosa sia la saga di デスノート(Desu Nōto - Death Note), ideata da 大場つぐみ(Ōba Tsugumi) come manga e tradotta in anime e live action movies di successo.

Comunque, per quelli come me che invece ne ignoravano l'esistenza (o se ne tenevano volutamente lontani), in Giappone si crede in tante entitá soprannaturali e semi-divine, e tra questi ci sono gli 死神(Shinigami), ovvero spiriti della morte, una figura semidivina importata in Giappone dall'Europa e definita nel periodo Meiji. Questo film ci dá un'ennesima visione alternativa dello Shinigami, ma andiamo con ordine...

Il Signor Chiba é uno Shinigami. Il Signor Chiba é per giunta uno Shinigami alquanto elegante e di bell'aspetto, con la sua bella chioma e i suoi abiti stile "le Iene". Il Signor Chiba non ha etá, viaggia in random nel tempo e nello spazio, camminando col suo spirito controllore (un cane nero) sopra i binari di una monorotaia (identica a quella di Naha, a Okinawa), che dovrebbero rappresentare per l'appunto la dimensione sovrannaturale dalla quale il bel Chiba proviene. Il belloccio Shinigami é pure annoiato dalla sua routine: non ha mai visto un cielo azzurro nei millenni della sua infinita esistenza perché quando lui lavora, chissá perchè, piove sempre... e poi quei dannati corvi neri, sono sempre lì attorno alla persona che deve morire L'unica pausa dalla pioggia il Signor Chiba la trova camminando sul cemento della monorotaia, che sta sopra le nuvole. Quando il mono-binario s'interrompe con una porta, significa che gli si prospetta un altro lavoro. Varcata la soglia, ecco il nostro mondo sotto uno scrosciante acquazzone, un sacco di corvi e un contatto da stabilire: quello con la vittima, cioé la persona che dovrebbe morire: il bel Chiba come i suoi colleghi (ce ne sono tantissimi sparsi per il mondo) deve decidere: procedere con la morte o sospendere la morte. É una specie di processo al quale le vittime vengono sottoposte. Prima tocca ad un'impiegata sfigata degli anni '80, poi ad un furfantello della yakuza dei giorni nostri, e poi ad una parrucchiera del futuro con tanto di aiutante robot (molto carina aggiungerei, e parlo del robot). Il signor Chiba prenderá (o meglio non prenderà) le sue decisioni mostrando un lato umano, etc etc.

Diciamolo subito, il film non mi é piaciuto. É una vetrina per un Takeshi Kaneshiro tirato a lucido e pompato di cazzate, e le spalle dell'attore cinese sono poco forti per reggere una sceneggiatura ridicola. Lo Shinigami da lui interpretato é si immortale, ma il suo peregrinare per lo spazio ed il tempo lo rendono irrimediabilmente impacciato di fronte agli esseri umani e a concetti importantissimi dei quali dei giudici di vita come gli Shinigami di cui si parla dovrebbero perlomeno essere informati, se non estremamente disinvolti: divertente come spunto per la sdrammatizzazione ed umanizzazione della morte, ma poco credibile se lo si vuole applicare ad un personaggio che dovrebbe essere un semidio il cui lavoro dovrebbe essere quello di giudicare gli uomini per la loro vita e per l'effettivo compimento dei loro propositi. Il signor Chiba passa le missioni a pronunciare frasi profonde, profonde al massimo come la vasca da bagno di casa di mia madre, a rispondere vagamente al suo cane che gli chiede continuamente conto del suo lavoro, fino a farsi completamente annullare dalla saggezza della protagonista femminile in finale di pellicola. Il Signor Chiba reagisce agli stimoli positivi datigli dai personaggi in forma di lezioni di vita con penose scene mute degne di un gorilla in giacca e cravatta che ascolta una lezione di filosofia...

Questo film é una versione quasi comica se paragonata ad un tentativo del cinema occidentale degli anni novanta di umanizzare la morte, sempre con un belloccio, ma biondissimo di nome Brad Pitt. Il film di cui parliamo é "Vi Presento Joe Black", del 1998, diretto da Martin Brest. Nonostante anche quello fosse un'emerita schifezza atta solo a pompare il bel Brad e a far innamorare milioni di ragazze, lì si percepiva un diverso modo di trattare dei temi profondi come la morte, e poi il personaggio interpretato dal bel Brad si dimostrava estremamente colto, serio e preparato in un sacco di concetti, proprio come dovrebbe essere un semidio (che io sia dannato, sto davvero parlando di come dovrebbe essere un semidio...), e poi didiamocelo, si scopa pure la figlia della sua vittima, è un grande, anni luce dal gorilla Kaneshiro.

Interessante per notare con quale leggerezza (o accuratezza?) i Giapponesi trattino degli argomenti assai profondi e importanti da un punto di vista spirituale. Ancora una volta domistrazione del fatto che la spiritualitá Giapponese sia completamente diversa dalla nostra, soprattutto nella commistione di simbolismi provenienti da diverse religioni: nella scena iniziale, per esempio, uno Shinigami, concetto di base importato ma in qualche modo derivato da rare divinità sia Shintoiste che Buddhiste che assiste alla cerimoina funebre Cristiana di una bambina che ha appena spedito all'altro mondo. Si può tentare una visione più profonda del film analizzando proprio l'imperfezione dello stesso Shinigami, in pratica destinato solo a prendere due decisioni: dopo un'indagine, quelle di "sospendere" o a "procedere" con la morte della vittima designata, avvenimento apparentemente deciso da un inevitabile destino che lo spirito della morte può solo ritardare, ma non evitare. Che la morte non sia frutto d'intervento divino ma semplice avvenimento necessario in una vita? Che tutto si basi sulla cieca legge della vita? E poi il cane nero, lo spirito controllore del Signor Chiba: nella mitologia inglese il cane nero è associato al diavolo o agli spiriti della morte sin dalla demonologia medioevale (chi poi ha letto "Il Mastino Dei Baskerville" di Arthur Conan Doyle sa di cosa parlo)... ma il cane del film è alquanto sfigato e il montaggio lo rende a tratti pure comico per la sua condizione, anche per lo spirito che rappresenta di estrema inpotenza sia nel gestire gli eventi, che nel gestire lo Shinigami che gli è stato assegnato. Penso con convinzione che l'autore, 伊坂幸太郎(Isaka Kōtarō), a parte la scena in cui Chiba si chiede perchè la morte sia rappresentata da uno spirito nero con una falce, forse non abbia utilizzato questa simbologia consapevolmente o se l'ha fatto ha cercato di sdrammattizzare il tutto in chiave comica, anche perchè i Giapponesi non capirebbero alcune sfumature che l'educazione di noi timorati cattolici ci ha insegnato a notare. Penso che si possa tranquillamente relelgare questo plot a quell'accozzaglia di simbolismi religiosi e per la nostra sopracitata inconsapevole ed ottusa sensibilità cattolica anche veniali blasfemie di una società, quella Giapponese, che non ha mai avuto una sua vera identità religiosa (e questo è uno dei suoi grandi pregi)

Vogliamo anche dire che i corvi sono tutti fatti in computer grafica e fanno pena? A parte il protagonista, sono i comprimari a fare il film: le cosiddette vittime tengono la scena, sono tutte dei personaggi splendidamente riusciti, e il finale é pure carino. Ma vi libero dai miei infiniti discorsi e vi lascio alla faccia da ebete di Kaneshiro in questa locandina...

Sweet Rain - 死神の精度 (Sweet Rain. Shinigami No Seido - Dolce Pioggia. L'accuratezza dello spirito della morte)

Giappone, 2008 - regia di 筧昌也(Kakehi Masaya)

sabato 28 novembre 2009

天然コケッコー (Un "Coccodè" naturale)

Dal regista di リンダ リンダ リンダ(Lina Linda Linda), Nobuhiro Yamashita, ecco arrivare in punta di piedi un altro piccolo miracolo della cinematografia contemporanea Giapponese
Avete mai sognato di abbandonare tutto, la vostra frenetica vita cittadina, lo smog, il rumore, il luogo di lavoro affollato, il tempo che non basta mai? Avete mai sognato di andare in un posto tranquillo dove ascoltare in silenzio il tempo che passa, vedere l’erba che cresce, non sentire l’ansia per qualcosa dietro che ti rincorre?

Giappone, isola di Honshu, prefettura di Shimane. In un piccolo villaggio in mezzo alla campagna fatta di piccoli campi di riso e scoscese collinette piene d’alberi c’è una piccola scuola. Il numero degli abitanti di questo villaggio è talmente esiguo che la scuola elementare e la scuola media sono fuse nello stesso stabile, e in tutto tra l’una e l’altra ci sono solo sei studenti: la più piccola è così piccola che si fa ancora la pipì addosso, e la più grande è al penultimo anno delle medie. La scuola è in fermento perché sta per arrivare un nuovo studente, lui viene da Tokyo e si è trasferito nel villaggio del nonno paterno con la madre. Soyo (interpretata dalla giovanissima 印東夏帆(Indō Kaho), nome d'arte "Kaho") in particolare, la più grande della scuola, non vede l’ora che il ragazzo arrivi: Hiromi Osawa è infatti un suo coetaneo. Il primo incontro tra Hiromi, il villaggio e Soyo non è dei più felici: il ragazzo, abituato alla frenesia della metropoli nipponica fatica ad adattarsi alla nuova realtà nella quale è stato catapultato. I suoi sei compagni di scuola fanno di tutto per farlo ambientare, la loro allegria e spensieratezza sono talmente disarmanti da mettere in difficoltà anche un ragazzo metropolitano come lui. Col passare del tempo, Hiromi imparerà ad apprezzare la sua nuova vita nel villaggio.

Un film che mi ha suscitato grandi emozioni, devo ammetterlo. Forse era dai tempi di 茶の味(Cha No Aji - The Taste Of Tea), 2004, di Katsuhito Ishii. che non provavo un desiderio così intenso di fare downshifting. Penso che questo film sia l’inno al downshifting per eccellenza.

Che paesaggi, quelli della prefettura di Shimane, una delle meno popolose del Giappone: impossibili da descrivere per la loro bellezza tutta particolare: le scogliere di granito giallo come quelle che avevo visto a Shikoku nella costa del mare interno, il mare cristallino, il verde intenso e brillante della campagna e quelle piccole linee ferroviarie coi treni a gasolio che puntualmente si arrampicano in scogliere a picco e s’infilano in strette gallerie tra una valle e l’altra. Sembra il paradiso: case grandi, verande di lucido legno scuro aperte d’estate e la voglia di addormentarsi nei tatami circondati dal canto delle cicale. Le persone del villaggio, non sanno cosa sia la quella brutta sofisticatezza squisitamente cittadina fatta principalmente di espedienti comportamentali di autodifesa: sono onestamente oneste e tranquille. Mai un problema, mai un avvenimento violento e triste a parte il suicidio di quella donna, lì sul ponte nella strada per la spiaggia: basta prendere la strada più lunga per andare al mare, che oltretutto è anche più panoramica, per dimenticare anche questo. Vi aspettate sorprese? Efferati omicidi? Fantasmi? Nulla di tutto questo, Tennen Kokekko non riserva cattive sorprese, è una medicina per l’anima dei sognatori come me, che hanno bisogno, ogni tanto, di immedesimarsi in un paradiso terrestre come questo e perdersi nel benefico oblio del silenzio e della tranquillità di un luogo lontano da tutto e da tutti. Qualsiasi cosa sia necessaria, per mangiare, la si può prendere al campo, o al massimo si possono fare due passi al negozio della mamma di Ibuki, la ragazza della prima media. Il dottore? Bisogna andare in città! Il forestiero Osawa non si capacita di tutto ciò, e il suo stupore misto a schifato sconcerto sono l’espediente cinemantografico che fa da stampelle a noi spettatori sognatori ancora zoppi in questo nuovo mondo fantastico.

Nessuna sorpresa, davvero, nessuna.

Potrebbe sorgere un dubbio: è questo un film schifosamente bugiardo? Se Sono Shion con 紀子の食卓(Noriko No Shokutaku - Noriko's Dinner Table) ci insegna che trasferirsi in un luogo paradisiaco non è utile per fuggire dai propri fantasmi, e che essi sono nascosti dentro di noi, Nobuhiro Yamashita (già regista di Lina Linda Linda) dà la sua personale o più ottimistica visione: i problemi sono ovunque, anche in un luogo paradisiaco, e ce lo ricorda con quei fiori posati nella balaustra di quel ponte arrugginito sulla strada per la spiaggia, o l’attacco d’asma della mamma di Osawa, forse il momento più drammatico del film, ma se si ha la forza di lasciare le proprie pene alle spalle, se si riesce a purificare il cuore e a vivere con un forte atteggiamento ottimistico, è possibile trovare il proprio paradiso personale.

Spesso e volentieri la cinematografia contemporanea Giapponese costruisce paradisiache realtà parallele dove lo spettatore possa rifugiarsi e sognare: queste realtà possono essere identificate in amori da favola, viaggi che sembrano epiche avventure anche se vissute nel giardino dietro casa, grandi vittorie e successi. Spesso e volentieri tutte queste belle opere sono impalcature di bugia che coprono realtà ben diverse: la scuola in realtà fa schifo, il lavoro in realtà fa schifo, difficilmente si ha successo nello sport, come nello spettacolo o nella musica, ancor meno in amore, figuriamoci poi conquistare ragazze da favola, belle, gentili e premurose come fatine incantate: nella realtà le belle ragazze spesso sono furbe e spregiudicate, forti della loro bellezza e popolarità. Ma l’impalcatura di Yamashita si dimostra solida: è proprio l’isolamento del villaggio a proteggerlo dalla bruttezza e dalla cattiveria del mondo, Soyo e i suoi compagni sono sinceramente buoni e onesti, e soprattutto semplici. Il viaggio scolastico dei ragazzi a Tokyo non fa altro che rafforzare questo generale sentimento di purezza e quest’atmosfera speciale: A Shinjuku, impaurita davanti allo stagliarsi delle torri del palazzo governativo comunale di Kenzo Tange, Soyo si tappa le orecchie, trattiene il respiro e dice ai grattacieli, alla frenesia, al rumore, che quando crescerà imparerà a trattare anche con loro, ma che ora tutto il suo amore è per il villaggio, la sua gente e la sua piccola scuola. Un ambiente talmente bello che gli stessi personaggi provano già nostalgia per esso, pur vivendoci.

“Non c’è nulla di meglio di casa nostra”, dice il professore a una Soyo impaurita a Tokyo.

Tennen Kokekko è un film d’amore, amore per la bellezza in sé, per la bellezza della semplicità, per la bellezza della natura, per la bellezza dei rapporti interpersonali,per la bellezza dell’amore. Tennen Kokekko è un film d’amore per l’Amore. Un film per sognare, un film in cui trovare anche riparo dallo stress della vita quotidiana e dalla bruttezza diffusa dei nostri tempi.

Tennen Kokekko è anche una pugnalata al cuore, perché dopo aver vissuto il suo mondo, qualsiasi altro mondo può sembrare meno bello.

天然コケッコー (Tennen Kokekkō - A Gentle Breeze In The Village)

Giappone, 2007 - regia di Yamashita Nobuhiro

lunedì 23 novembre 2009

紀子の食卓 (Noriko's Dinner Table)


(In questo testo ci potrebbe essere qualche spoiler) Noriko, una ragazza di 17 anni, si sente un'aliena nella sua famiglia e nella sua cittadina di campagnia. Decide di scappare di casa e di unirsi alle amiche conosciute in un forum, e durante un black-out prende una valigia, getta tutto dentro di essa alla rinfusa e scappa per prendere il primo treno per Tokyo. Dopo un certo tempo anche sua sorella minore, Yuka, sparisce e scappa via. Il padre, disperato, lascia il lavoro e comincia una isterica ricerca delle figlie che lo porterá sulle tracce di quella che lui pensa che sia la famigerata organizzazione teatralmente chiamata dai media "Suicide Club".
Dopo aver visto il bellissimo 愛のむきだし(Ai no mukidashi - Love Exposure) in anteprima al Far East 11, vedere un film di 園子温(Sono Shion) può trasformare una normale serata in un'imperdibile serata. Noriko's dinner table dovrebbe essere il seguito del suo 自殺サークル(Jisatsu saakuru - Suicide Club) del 2002, ma se ne discosta con una sceneggiatura che narra di avvenimenti temporalmente quasi paralleli a quelli del primo episodio, ma vissuti in luoghi e da persone diversi, che in alcuni momenti vengono a contatto con avvenimenti e personaggi del film sopracitato.
Non ricordo molto di Suicide Club, l'ho visto tanti anni fa e dovrei rivederlo per poterci scrivere qualcosa, ma penso che come me chiunque lo abbia visto non possa non ricordare la sua scena madre, cioé il suicidio collettivo delle cinquanta e più studentesse di scuola superiore sotto un treno della Chūō line nella stazione di Shinjuku, a Tokyo: scena più volte ricorrente anche in questo film.
Una sceneggiatura se pur parallela a quella del "primo episodio", indipendente ed autoconclusiva, sembra quasi che il regista abbia voluto sfruttare il successo di Suicide Club e sfruttarne la preesistente "piattaforma" per parlare di argomenti nuovi. Si può tranquillamente guardare questo film anche senza aver visto il precedente, addirittura lo si potrebbe utilizzare come prequel...
Il tema del suicidio è sempre comunque presente anche in questo film. La visione di Sono Sion sull'argomento é abbastanza critica pur nella sua tragica satiricitá: Noriko pur non avendo alcuna intenzione di suicidarsi finisce col prendere contatti con alcune delle ragazze membri di un misterioso forum, considerato da alcuni una copertura del cosiddetto "suicide club" e socializza con una di loro in particolare, nickname Ueno Station 54, vero nome Kumiko, a sua volta fondatrice e capo di una strana organizzazione che fornisce ai propri clienti "esseri umani in affitto" per qualsiasi utilizzo. Non si arriva mai a capire se in realtá questa organizzazione sia il Suicide Club, oppure una sua copertura, o se addirittura la sceneggiatura voglia forzare l'opinione dello spettatore sul fatto che tutto ciò che succede nel film non abbia alcuna connessione col Suicide Club mettendone in discussione la sua stessa esistenza e degradandolo a semplice ossessione di un padre disperato che assieme alle sue figlie ha perso tutto.
Però comunque i ragazzini si continuano ad ammazzare in gruppi organizzati e sembra che dietro le quinte ci sia un'accurata regia a muovere i fili di una macabra successione di eventi. Apparentemente per molti dei personaggi di questo film il suicidio é una bellissima liberazione dalla sofferenza, ma alcuni di essi si sottopongono ad una morte diversa, anche se comunque volontaria, ed é questa una delle cose che più mi hanno lasciato di sasso: farsi ammazzare volontariamente da qualcuno che vuole uccidere per sfogare la rabbia ad esempio su una moglie adultera, facendo da figurante ed interpretando una persona il cui destino é quello di morire, offrire un servizio e rendere la propria morte utile per qualche altro. Un'idiozia, una grande idiozia frutto della mente di delle poverette senza alcuna speranza.
A mio parere il genio di Sono Sion sta proprio nel rendere questa follia una metafora dell'isteria collettiva della quale il Giappone é realmente malato, e nello smontare accuratamente pezzo per pezzo questa stessa follia con un'intelligente critica costruttiva in chiave metaforica: dopo aver costruito un quadro scenico ben definito che mostra una realtá, quella dell'organizzazione che noleggia esseri umani per qualsiasi scopo, quella dell'ipotetico Suicide Club, rompe tutto utilizzando una delle sue carte apparentemente meno influenti: il personaggio di Yuka, la sorella di Noriko, che con grande astuzia s'infiltra nella trama di mistero generata dalla scomparsa della sorella maggiore e al contrario del padre rimanendo "sana di mente" diventa il Deus Ex Machina dell'apparato distruttivo dell'autore, ridicolizzando quell'organizzazione ora babele sanguinaria di odio per sé stessi e per la vita, gomorra di perversioni ancestrali vilmente cammuffate da servizio di pubblica utilitá, specchio di una societá, quella Giapponese, che l'autore vuol denunciare mai come ora vuota di contenuti e soprattutto di quell'autocontrollo che si é sempre imposta, autocontrollo ora diventato la silenziosa autoviolenza privata di tanti individui e di tante famiglie.
L'organizzazione di Kumiko diventa allora la parodia di quelle migliaia di persone che in Giappone aiutano gli aspiranti suicidi a raggiungere con successo il loro scopo: i forum monotematici, un'accurata metodologia della morte volontaria studiata da menti perverse per poveretti con la sola colpa di essere nati nel posto sbagliato, o di non avere abbastanza forza per sopportare l'infinita pena del vivere. Yuka é viva e vigile nella sua apparente idiozia di ragazzina quindicenne, sembra stralunata ma é giá una spanna più avanti rispetto alla sorella che non fa altro che autocommiserarsi e nascondersi dietro quegli spessi occhiali fuori moda, dietro la scusa che il male del mondo sia tutta colpa di suo padre.
Tetsuzo, lui, il grande uomo convinto che basti rifugiarsi con la sua bella famiglia in quella cittadina costiera apparentemente perfetta che si chiama Toyokawa (che tra l'altro è la cittadina natale del regista) per sfuggire al male e alla violenza del mondo esterno, ma che si accorge ben presto del fatto che il male e i problemi si generano principalmente da noi stessi che il più delle volte creiamo con maestria il nostro piccolo inferno personale.
In una grande metafora cinematografica allora Tetsuzo conosce l'inferno e rimane solo, scende negli inferi e affronta il diavolo, uccide i suoi scudieri con inaudita ferocia, e spera che si possa ricominciare tutto daccapo. Ma affonda le di nuovo le sue radici in quell'inferno dal quale non può più risorgere, e la rassegnazione copre come un sudario pure tutti gli altri, tranne Yuka, che dopo aver fatto la sua discesa negli inferi ha messo al sicuro sia sua sorella che suo padre nell'inferno meno doloroso per loro, si é strappata le radici dai piedi ed é volata via come un angelo della vita, e la sua libertá non la lascia sola, nuda ed impaurita come era stato per Noriko, ma la rende abbastanza leggera per spiccare finalmente il suo primo volo.
Sono Sion ha uno stile di ripresa unico: il film è diviso in capitoli, ognuno monografia di un personaggio, ma tutti fusi in una fluida coralità. La genialitá di questa sceneggiatura però raggiungerebbe la perfezione se limata di inutili lungaggini, e con qualche modifica in un finale troppo lento: difetti dei quali ad esempio il suo più recente lavoro "Love Exposure" é esente, pur con la sua folle durata di quattro ore.

紀子の食卓 (Noriko No Shokutaku - Noriko's Dinner Table)

Giappone, 2005 - regia di 園子温(Sono Shion)

giovedì 29 ottobre 2009

青の炎(La Luce Blu): Kamakura e il "Super Teenager"

Volevo ritornare su questo film, già recensito ed incontrato di nuovo, e devo dire volutamente, in una produttivissima ed interessantissima seconda visione.

Reduce da una bellissima gita a 鎌倉(Kamakura) con annessa cavalcata sull'Enoden fino a 江の島(Enoshima) in un tramonto davvero fuori dal comune, ho voluto fortemente rivedere questi posti a me tanto cari ed allo stesso tempo riprendere da capo una storia che avevo giá a suo tempo trovato estremamente interessante, stimolante, struggente, ma mal recitata.
Ho innanzitutto avuto la conferma del fatto che la location è effettivamente 鎌倉(Kamakura). La seconda scoperta è che la scuola in cui sono girate acune scene del film è la 鎌倉学園(Kamakura gakuen), cioè l'istituto comprendente sia una 高等学校(Kōtō-gakkō - scuola superiore) che una 中学校(Chū-gakkō - scuola media) che si trova affianco al famosissimo complesso di templi Zen chiamato 建長(Kenchō-ji). Per esigenze sceniche, gli studenti passano da una grotta per accedere alla scuola: in realtà la grotta in questione è lo 釈迦堂切通(Shakadō kiridoshi), un passo interno delle "alpi di Kamakura" e dista qualche chilometro dalla scuola, pur trovandosi effettivamente anch'esso a 鎌倉(Kamakura).
Non voglio mettere in evidenza le mancanze di questo film, giá citate nel post di qualche tempo fa, ma voglio forzarmi a far emergere dalla mia testa e bloccare su carta un concetto preziosissimo e assai volatile che la seconda visione del film ha impresso nella mia mente.

Nel cinema Giapponese si continua ad esaltare il feticcio della giovinezza, puro fattore estetico e fisiologico di uno stato temporaneo e fugace nel quale ogni individuo si sente intrappolato quando ci si trova dentro, ma che poi idealizza e rimpiange quando scopre che per alcuni versi la vita non é altro che un decadere. Questi sono concetti comunque comuni anche alla nostra cultura, anche se espressi in maniera meno isterica e maniacalmente ossessiva: la produzione culturale Giapponese però inserisce un aspetto a mio parere inedito: solo in giovinezza é possibile plasmare la propria vita, solo in giovinezza eroismi, ribellioni e coraggio sono atti e qualitá che possano eccezionalmente non determinare l'ostracismo da parte di una societá che ammazza creativitá e diversitá per proteggere quell'ormai spastico e dannosissimo senso di comune pensare e di comune agire.

Il chiodo che sporge da un'asse di legno dev'essere preso a martellate perché sia riportato in una posizione dove non possa nuocere proprio a causa della sua sporgenza, così dice un famoso proverbio Giapponese. Ma il cinema, la televisione e la letteratura giapponesi continuano a creare soggetti in cui il rompere gli schemi, l'infrangere le regole, l'essere diversi, che si sia peggiori o migliori poi non fa differenza, é un punto di forza. La giovinezza ti dá la possibilitá di capovolgere il mondo, ammazzare pure, mettere sotto le suole la gerarchia sociale, educazione e cosí via. Oltre, dopo il casino c'é sempre quel limite, oltrepassato il quale volenti o nolenti é necessario ritornare nelle righe, indossare la divisa da soldatino e mettersi a fare l'automa, l'unica opzione possibile.

Penso che il sognare di poter uscire dagli schemi, riflettendo sé stessi in un teen-ager onnipotente che possa permettersi di spaccare tutto, ciò che il lettore o lo spettatore non ha mai avuto la possibilitá di fare nella vita reale, sia quella caratteristica che per lo più genera il successo di tutte le teen comedy, di tutti i drama scolastici e di tutte quelle tragedie di amore e morte tanto care al pubblico Giapponese.

(SPOILER) Ma questo film va un pò oltre: un commissario di polizia concede il lusso ad un pluriomicida diciassettenne di potersi ammazzare, sfuggendo alla legge terrena (eppure la legge ed il senso comune in Giappone, al contraro di quelli nostrani non sono di certo clementi coi galeotti, i pregiudicati e i criminali in genere) e diventando un eroe unto di quell'indelebile impunitá morale post- mortem. Salva da famiglia dall'onta e s'immola. Una lacrima e via per riconoscerlo in un rapace in volo nell'infinito blu del cielo d'autunno di 鎌倉(Kamakura). (FINE SPOILER)
Non pensate che il Giappone sia come ve lo raccontano nei film, almeno non nelle commedie o tragedie adolescenziali.

domenica 23 agosto 2009

東京タワー 〜オカンとボクと、時々、オトン〜 (La Torre Di Tokyo: Io, La Mamma E Qualche Volta, Il Babbo)

Masaya é una specie di artista/creativo/tante altre cose e vive a Tokyo. Seduto su una sedia, in un ospedale, Masaya aspetta la morte della mamma, malata terminale di cancro

Il tema del racconto è non tanto il normalissimo presente di Masaya quanto il suo normalissimo passato: un'infanzia come tante le altre, un padre disattento e ubriacone, una madre fantastica e una vita fatta come di consueto più di delusioni che di successi, perchè fondamentalmente non tutti si nasce belli, fighi, intelligenti da premio nobel o eroi: quasi tutti si vive di merda, anche in Giappone, ma c'è comunque una benedizione che si chiama "mamma".

Finestra su sentimenti tanto veri da far riflettere pur nella loro scontatezza, il film è fatto di personaggi proprio ben riusciti: Masaya, interpretato dal solito ottimo オダギリ ジョー(Odagiri Joe) é una persona squisita dall'indole calma e dai buoni propositi, nonostante il suo percorso di crescita sia stato praticamente inconcludente dal punto di vista professionale (disegna vignette per bambini e parla di cose "sconcie" ai microfoni una radio erotica). Persino il padre lo surclassa su tutti i fronti sotto questo punto di vista, pur essendo tragicomico nelle sue sbronze memorabili e in quei dannati filmini in otto millimetri che si diletta a girare riprendendo un succube Masaya-bambino impotente di fronte ad una furia di annebbiata innoqua follia, follia che solo la donna di casa riesce a domare a colpi di placcaggio in stile rugbistico: Eiko, una donna di poche parole e forte come la sua 九州(Kyūshū) che doma il Godzilla della quotidianità familiare e che con coraggio ha cresciuto Masaya forgiando il carattere di una persona fantastica nella sua dannata normalità.

Non é un mistero che si aspetti la morte della signora Eiko, scontata come quell'evento naturale col quale tutti noi prima o poi nella nostra vita avremo a che fare, e comunque sempre scontatamente dolorosa.
Questo é un film di dolore e di morte, come tanti, ce ne sono in Giappone: per i più sarà facile farsi beccare dal vicino di poltrona ad asciugare le lacrime, ma "a freddo" dà l'impressione di essere anche questa volta una pellicola che delicatamente e con gran mestiere fa leva su quei sentimenti troppo spesso usati ed abusati dalla moderna cinematografia Giapponese per far presa sul grande pubblico. Un grande pregio è la mancanza di deificazione del personaggi, che non recitano battute ad effetto, non concedono scenografici perdoni anche pre-mortem e sono anche tutti abbastanza bruttini. Lungo e lacrimevole, a tratti scontato come il sopraggiungere della morte di un malato terminale eppure si lascia lo stesso guardare, come tutti i film del suo genere (uno dei quali recentemente vincitore di un premio oscar), e lancia un messaggio molto importante: non dimentichiamoci mai della fortuna che abbiamo, diamo importanza e amore alla persona più importante della nostra vita, colei che ha dato tutto per amarci e farci vivere nella migliore maniera possibile.
東京タワー 〜オカンとボクと、時々、オトン〜(Tōkyō Tawaa: Okan To Boku To, Tokidoki, Oton - La Torre Di Tokyo: Io, la Mamma e qualche volta, Il Babbo)
Giappone, 2007 - Regia di 松岡錠司(Matsuoka Jōji)

sabato 25 luglio 2009

大停電の夜に (Il blackout notturno)

Tokyo é uno degli agglomerati urbani piú grandi al mondo, e con i suoi sobborghi, a loro volta grandi come immense metropoli, non fatica a superare i trenta milioni di abitanti. La capitale della tecnologia, la capitale delle stranezze, la capitale di quei "contrasti" così affascinanti per un turismo "di nicchia", quello dei bellimbusti che "andare a mangiare il sushi fa figo" e quindi vanno in Giappone per fare ancora più figo (e si riscoprono, ad insaputa della vasta audience post-vacanza amanti del Mc.Donalds che forse è linguisticamente meno ostico), oppure quello dei fissati dei fumetti o degli anime Giapponesi, che ne fanno meta di pellegrinaggio. Tokyo (cosiccome d'altronde accade per tutto il Giappone in generale) vista dagli occhi del gaijin superficiale, del giornalista di viaggi o del promotore di viaggi organizzati é la "metropoli dei contrasti", un luogo dove la tecnologia piú avanzata convive con la piú severa tradizione, un luogo dove quartieri di grattacieli di mirabile altezza sono affiancati da complessi sacri dove regnano il silenzio e il religioso raccoglimento, e da quartieri a luci rosse dove ci si può anche solo idealmente affacciare alle piú depravate pratiche sessuali...

Ma quei "contrasti" tanto chic e di tendenza, sono tali solo per quelle tante persone che non conoscono abbastanza la societá Giapponese nella sua interezza e nella sua complessitá: quelle tante persone cresciute ad esempio in quel mondo cattolicizzato che porta a considerare "la diversitá" o "l'alternativa" come la solita babele di poveracci da compatire e salvare con eserciti di evangelizzazione; o i soliti furbetti tanto endemici nel nostro paese che passano sempre il post-vacanza nipponico a deridere coloro che danno la vita per il lavoro o che sono ligi al rispetto delle regole anche se si tratta di rispettare una dannata fila davanti alla porta della metro; gli acculturati da rotocalco settimanale pietosi nel compatire una società ormai famosa in particolare per i suicidi, o per una classe adolescenziale afflitta da immani problemi esistenziali (come se i nostri adolescenti fossero sani di mente...), o per una classe lavorativa considerata dai piú come ridotta in schiavitú da un sistema moralmente totalitario; o al massimo da visitare in un bel tour che non manchi di includere Tokyo, Kyoto, geishe, sushi e stronzate a non finire.

Ma perché tale polemico preambolo alla recensione di questo film?
Perché la visione di questo film é altamente consigliata per cominciare ad aprire gli occhi sulla societá Giapponese senza comunque impegnarsi troppo in analisi psico-sociologiche, ma cominciando a conoscere i Giapponesi non piú come extraterrestri ma come "uomini", nostri simili, semplicemente spegnendo quell'enorme sfavillante videogioco elettrico che é Tokyo, e vedere com'é fatto dentro.

É la vigilia di Natale, un uomo d'affari mente a sua moglie per incontrare la sua amante in un lussuoso albergo di Odaiba; un barista aspetta dentro al suo bar deserto il passare della notte prima della chiusura dell'attivitá; un ex carcerato cerca la sua ex fidanzata; una modella siede sul corniciome di un ospedale cercando il coraggio di suicidarsi; un vecchio aspetta la morte in ospedale; un ragazzino appassionato di satelliti osserva il cielo; una coppia di anziani vive in armonia il focolare domestico. Accade l'incredibile: una specie di meteorite si abbatte su una centrale elettrica e Tokyo si spegne.

Chiunque abbia vissuto Tokyo non potrebbe mai immaginarla senza elettricitá, ma paradossalmente proprio spegnendola é possibile vedere il suo vero cuore. Gli "extraterrestri" si tolgono le maschere da extraterrestri e cominciano a fare gli uomini, i problemi sono sempre gli stessi, come lo sono per noi, e il vederli attraverso degli occhi a mandorla non li rende meno dolorosi da vivere ed affrontare.
Si ama, si odia, si sbaglia, si tradisce, si scappa, si ha paura, si aspetta, si ruba, si gioisce... insomma si vive.

Il buio costringe la pupilla a dilatarsi e alla fine si vede pure meglio. E quella che mi piace definire "la cittá illuminata non da stelle naturali, ma da galassie elettriche", riesce di nuovo, incredibilmente a liberarsi di quell'aura di inquinamento luminoso e a "riveder le stelle", quelle vere.

Tralasciando l'ottima valenza didattica per i conoscitori superficiali di Giappone e Giapponesi, il film é un ottimo intreccio comunque giá visto di storie separate tra loro ma connesse indissolubilmente l'una all'altra, peccato per l'eccessiva lunghezza e ridondanza: con qualche limatura e qualche ripensamento in sede di montaggio perderei la voglia di definire questa pellicola, nonostante la passerella non trascurabile di star e le loro come sempre ottime prove recitative, "un'occasione sprecata".

大停電の夜に (Daiteiden No Yoru Ni - Il blackout notturno), titolo inglese "Until The Lights Come Back"

Giappone, 2005 - regia di Takashi Minamoto